IL “QUINTO SENSO” DEL VIAGGIATORE ERRANTE


Intervista on the road a Daniele Donin, militare durante l’anno, avventuriero “fuori dal servizio”, in sella alla sua inseparabile moto tra Azerbaijan, Iran, Mongolia, Patagonia.

 

 

Di Brunella Ranaldo                                                                                                                        11 giugno 2014

Foto Daniele Donin 

 

I social network parlano di lui e dei suoi viaggi, insieme a diverse testate giornalistiche, perfino al femminile. Nato in Veneto 34 anni fa, una laurea in “Conservazione dei Beni Culturali”, ha dedicato la sua vita all’Arma dei Carabinieri, che lo ha portato a lavorare, come spesso accade, anche in aree di crisi. Ma “fuori dal servizio”, Daniele Donin è un semplice esploratore, affascinato dalla cultura di Paesi lontani. Per questo le ferie di un anno intero sono completamente dedicate a quella che lui stesso definisce come una passione senza la quale la vita avrebbe un altro sapore. Da qui nascono documentati bellissimi e reportage fotografici da brivido.

Voce profonda e piena di emozione, Daniele parla delle sue esperienze di viaggio con l’entusiasmo di un bambino che racconta la sua prima visita al bioparco!

 

 

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  Daniele Donin durante il suo viaggio in Mongolia 

 

Prima di rispondere alle domande, non esita a condividere la sua più bella scoperta, quella che gli ha cambiato la vita! “Viaggiando in moto si riscopre l’uso di alcuni sensi che il quotidiano tende un po’ a farci perdere, prima di tutto per percepire la moto ed eventuali anomalie, poi per “sentire” l’ambiente che ti circonda e che penetra la pelle. Il momento più intenso è quando ti accampi di notte, da solo nel bel mezzo del deserto e della natura più selvaggia. Per approfondire sapori nuovi e per comprendere e comunicare con popolazioni dalla lingua sconosciuta”. Così Daniele, ha scoperto il quinto senso: il senso del viaggiatore! Si tratta di quella particolare sensibilità che spinge a fare determinate scelte piuttosto che altre, seguendo l’istinto senza curarsi del rischio, che porta poi a cambiare anche radicalmente l’andamento delle cose. Quell’istinto che spinge a proseguire anche quando sembra che tutto stia andando storto, nonostante le difficoltà, le condimeteo avverse e a volte, anche gli infortuni.

Si reputa un uomo fortunato, perché è “un viaggiatore” e in quanto tale è consapevole di avere un preciso dovere, quello di condividere tutto ciò che riesce a fare suo da ogni singola esperienza…

 

Daniele, dall’uniforme ai pantaloni di pelle, ci racconti questa evoluzione “on the road”?

Iniziamo con una domandona! La moto è il mezzo che uso per fare una cosa importantissima: andarmene via. Ci sali su e superi l’orizzonte, il confine, la quotidianità e monotonia della vita. Il mezzo con il quale te ne vai per un po’ dalla gabbia fatta di comode abitudini e sicurezze. Quando sei in moto sei svincolato, libero e sei “nel” paesaggio che attraversi. Lo vivi. Il vento in viso, la pioggia, la neve, il sole, il caldo, tutti i sensi sono stimolati in maniera totale e le emozioni che vivi sono enormemente amplificate. Quando ci sali sopra, quel pezzo di ferro diventa una parte di te, esprime te stesso, come sei e ciò che vuoi dalla vita. E in un modo o nell’altro riesce sempre a stupirti. Ed è questo che cerco. Dalla vita io voglio ancora emozioni sincere e semplici, come quelle dei bambini che riescono a stupirsi davanti a cose che purtroppo da adulti spesso non riusciamo più a sentire.

 

Il “fanciullino” del Pascoli! E come vive la tua famiglia questo allontanamento che spesso dura lunghi periodi?

Diciamolo molto sinceramente: andare via di casa, partire, è da sempre considerato con sfumature negative da parte di chi resta. Restando sulla linea generale, da sempre l’umanità si è distinta tra nomadi e stanziali. L’evoluzione umana, lo stile di vita e le esigenze umane stesse hanno, nel corso dei secoli, premiato gli stanziali, relegando il nomadismo a qualcosa di ancestrale, di negativo, di difficile da capire. Pensa solo ai significati della parola “errare”. Sarà una casualità, ma ci sono un sacco di altri termini che usiamo comunemente e che fanno capire facilmente come il fatto di muoversi, di vagare, sia inteso in maniera negativa. Senza divagare troppo, diciamo che i miei ormai si sono rassegnati. Scherzo ovviamente, vivono ogni partenza e viaggio con apprensione, ma anche con l’orgoglio di sapere cosa sto per andare ad affrontare. Sono decisamente coinvolti. Mio padre mi ha sempre aiutato nel disbrigo di alcune pratiche burocratiche che altrimenti mi porterebbe via un sacco di tempo. Mi seguono passo passo nella preparazione della moto nei giorni precedenti e durante il viaggio, quando li aggiorno quotidianamente con sms o telefonate. Condividono senza dubbio l’entusiasmo e ne sono coinvolti sapendo che è davvero quello che voglio per me in quel momento.

 

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  Tramonti dal mondo  

 

Anche perché i tuoi viaggi non sono solo esperienze avventurose, ma un vero percorso di crescita personale. Da dove nasce questa esigenza?

Come ti dicevo prima tutto ciò nasce dalla voglia di superare l’orizzonte, di mettersi alla prova, di vedere posti nuovi, incontrare nuove culture, di uscire dalle abitudini quotidiane… nasce dalla voglia di assaporare questo incredibile miscuglio di emozioni che ti da un viaggio in motocicletta. Dalla voglia di andarsene, dalla voglia di vivere.

C’è un fascino particolare racchiuso nell’idea di partire da casa tua per raggiungere lentamente posti lontani. Uscendo dalla città, te ne vai verso orizzonti nuovi e sempre più lontani, e lo fai lentamente, ma soprattutto lo fai tu, e non un aereo sul quale sali e ti sbalza dall’altra parte del mondo in poche ore, lassù, a dieci chilometri da terra. Tu sei laggiù, vivi in mezzo alle strade, alle città, alle montagne, alle valli, ai deserti, in mezzo alla gente e alle loro storie, in mezzo al mondo, non lo vedi dall’alto, te lo vivi davvero, profondamente, metro su metro.

Ti s’imprime negli occhi e nell’anima: diventa tuo per sempre. E man a mano che ti allontani da casa ti accorgi che anche tu in qualche modo diventi suo, gli appartieni, entri in sintonia, in armonia con le cose che ti stanno intorno e ne sei parte viva, diventi un elemento del mondo che stai attraversando, come se fosse casa tua. E’ questa consapevolezza che cerco. La consapevolezza di essere vivo.

 

Qual è il territorio più lontano e impervio che hai visitato?

Senz’altro la Mongolia. Sicuramente non dimenticherò mai l’emozione nel varcare quel confine. Superata la frontiera si è stesa davanti ai miei occhi una terra immensa, sconfinata, esotica, selvaggia. È un’emozione forte. Respiri profondamente quell’aria così strana. Il cuore ti si apre e diventi un tutt’uno con il paesaggio che ti scorre davanti agli occhi ma al tempo stesso anche dentro di te, visto che ne fai parte integrante. E poi ti guardi intorno. Ed è il Niente, quello con la N maiuscola. Non ci sono segni di presenza umana di alcun genere. Sembra un mondo quasi fiabesco, fatto di pietre taglienti, sentieri impervi e sconosciuti, dove la natura, sotto questo cielo incredibilmente blu, è l’incontrastata sovrana e l’uomo è solo un piccolo ospite. È un luogo remoto, lontano nel tempo e nello spazio, dove non incontri nessuno per giorni, dove non esiste l’asfalto ma solo tracce e piste, dove non esistono città o villaggi ma solo qualche jurta (un'abitazione mobile adottata da molti popoli nomadi dell'Asia n.d.r.) sparsa in un territorio grande come metà Europa. Un ambiente duro e selvaggio dove gli abitanti si muovono a cavallo e vivono dei pochi frutti che quella terra gli dà.

 

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 Bivacco in Mongolia 

 

 

C’è stata un’esperienza più profonda o toccante, vissuta durante le tue esplorazioni?

In realtà in viaggio mi sono successe molte cose, alcune meno importanti, altre davvero determinanti per tutto il resto dell’esperienza. Una cosa le accomuna quasi sempre, è una sorta di sincronicità, una specie di “istinto”che mi ha fatto svoltare a destra anziché a sinistra, che mi ha fatto fermare mezzo minuto in più per fare una foto in un determinato posto. Ecco, questi piccoli gesti molto spesso hanno determinato una vera svolta. Ne accadono di continuo, quotidianamente, ma proprio perché quotidianamente, non ce ne accorgiamo. In Viaggio, con la mente “spalancata”, non è possibile non accorgersene. Parlo di cose quasi impercettibili, che però, nel percorso giornaliero di ognuno di noi si sommano e permettono che accadano degli eventi anziché degli altri. Fermarsi di colpo per fare una fotografia, perdere quei trenta secondi, ha significato per me evitare che mi scoppiasse la gomma di un camion mentre gli stavo dietro, o magari in sorpasso. Fermarsi d’istinto, senza un motivo apparente, per controllare se il bagaglio è apposto e far passare quei 3 minuti grazie ai quali ti scatta il rosso al semaforo dopo 10 km e dove incontri qualcuno fermo al quel rosso, che poi ti ospita a casa e ti presenta altri amici. Beh, non so se sono solo casualità. Sbagliare strada e decidere, di non fare inversione ma di girarsi con calma al prossimo incrocio apparentemente non ha significato, se però ci aggiungi che dopo 50 metri trovi due moto di italiani con i quali stringi amicizia e con i quali ti ritrovi ancora dopo anni…beh, direi che quell’istinto ci ha visto giusto.

Per questo ti dico che viaggio per cercare una “consapevolezza”. Nella quotidianità dei nostri gesti la perdiamo, non la vediamo più. In Viaggio è diverso, questa consapevolezza la puoi toccare con mano in ogni istante.

 

A proposito di sincera consapevolezza, hai mai avuto paura?

Diciamo che mi sono successe alcune cose particolari, ma mai niente d’irrisolvibile. Probabilmente sono fortunato, ma quando ho avuto bisogno ho sempre incontrato gente che mi ha aiutato come poteva ovunque mi trovassi. Perfetti sconosciuti che mi hanno ospitato con grande slancio e umanità, così ho conosciuto gente fantastica. Soprattutto in Asia, ho incontrato persone di una semplicità, ospitalità e gentilezza davvero rare. È venuto naturale per loro dividere con me il poco che avevano, senza domandarmi nulla. Io ci ho provato a dare in cambio qualcosa, in alcuni casi ho provato anche a lasciare del denaro, ma invano. Lo fanno solo per puro senso di ospitalità. Sei solo, sei straniero, questo significa che per loro hai sicuramente bisogno di aiuto. Persone fantastiche che ti fanno capire che in fondo l’umanità non è poi così male e che c’è sempre qualcuno disposto ad aiutarti. Sai, mano a mano che passano gli anni e che vivi queste esperienze così intense ti rendi conto che se vivi in armonia con il mondo non c’è niente di cui avere paura.

 

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 Georgia, strada militare Tblisi Vladivkavkaz

 

Ti ha mai fatto compagnia… la noia?

Sinceramente no, mi piace molto stare da solo. Mi aiuta a riflettere su molte cose della vita.

 

Il tuo lavoro ti porta a essere addestrato alle criticità. Ma quali sono le maggiori difficoltà che potresti trovarti a fronteggiare durante questi viaggi e come ti prepari?

La più grande difficoltà sei tu. Tu sei la chiave per risolvere i problemi che ti si presentano giorno dopo giorno. È la tua voglia di fare, la tua determinazione e il tuo spirito di adattamento che ti risolvono le criticità, ma questo non vale ovviamente solo per i viaggi.

Il viaggio lo valuti sulla carta, cerchi di intuirne le criticità già da casa basandoti sulla tua esperienza e sul buon senso. Ti prepari così, sapendo che potresti avere certi intoppi. E poi c’è una preparazione fisica che ovviamente si accompagna a quella psicologica.

 

Hai cominciato attraversando l'Italia a cavallo di uno scooter 125, spingendoti sempre oltre. La cilindrata della tua due ruote è cresciuta proporzionalmente ai chilometri che programmavi di percorrere. Adesso la tua compagna di viaggio è una BMW R 1200 GS Adventure, quale sarà la prossima moto… e la prossima meta?

Il Gs ha solo 140 mila km… ce ne vorrà ancora un po’ prima di cambiarla! Prossima meta? Non si dice… porta male!

 

Credi che questo tipo di esperienza possa essere alla portata di tutti o richiede particolari risorse caratteriali?

Durante i percorsi, ho incontrato molti viaggiatori, gente di tutti i tipi e con tutti i mezzi. In auto, in moto, in bici, a piedi. Anche donne in solitaria. Credo però che il massimo lo abbia raggiunto quando in mezzo la Mongolia ho incontrato un polacco di 71 anni in bicicletta. Un pazzo? Anzi! Aveva ben chiaro quello che voleva fare e come voleva farlo! Se questa è follia! Vorrei essere pazzo anch’io.

Comunque devi sicuramente essere molto determinato nel raggiungimento dell’obiettivo. Non puoi partire pensando di non farcela. Per il resto credo che sia una cosa fattibile da chiunque, basta volerlo. Ma volerlo davvero.

 

 

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 Turchia, Cappadocia

 

Andiamo un po' più sul tecnico. Come scegli le tue mete, i percorsi da seguire e la preparazione fisica da raggiungere prima di una partenza?

Le mete nascono dalla mia curiosità, una foto, un racconto, un documentario tutto quello che mi stimola. Poi, sognando, inizio a lavorare sull’atlante, mi studio un percorso di massima e quello che c’è da vedere intorno. Acquisto guide e cerco in internet tutte le informazioni che mi servono. Ma in realtà quando viaggi così, la meta è solo un pretesto. Mi spiego. A me della meta non interessa quasi niente, è solo un punto di arrivo. Non è la meta, è il viaggio quello che conta. Quando arrivo, non sono mai felice: sono arrivato, il viaggio è finito dopo il cartello che indica la meta. Il viaggio, l'avventura, la vita, si trova in mezzo... è tutto lì, si mescola tra le strade, i problemi, la pioggia, lo sconforto, il fango, i sassi, la gioia, la sabbia, le centinaia di persone incontrate alle quali ho rubato la forza per andare avanti. Sono tutti lì, tra la partenza e l’arrivo, e quando taglio il traguardo, sono sempre triste, ma non posso farci niente, è una cosa che sento nel mio profondo.

So che presto tutto ritornerà normale, so che non vivrò più nell’incertezza di un temporale, nell’entusiasmo di partire per posti sconosciuti, non avrò più il piacere di svegliarmi in una gher (l’abitazione mongola per eccellenza da migliaia di anni), in mezzo a una famiglia che mi sorride incuriosita, o di gustare un piatto immangiabile nel mezzo del nulla, o di cucinarmi i noodles (primo piatto della cucina asiatica n.d.r.) tra la moto e la tenda bruciando sterco secco, non mi si bagneranno più gli occhi davanti a panorami spettacolari e non mi sentirò più così vivo come nel deserto, o nella desolata steppa, guardando il cielo. Per questo la meta è solo un pretesto.

Tornando a discorsi più terreni… sinceramente curo una certa preparazione fisica che mi consenta di affrontare situazioni di forte stress senza compromettere la sicurezza. Sei sempre su due ruote! E una mossa falsa può rovinare tutto in un attimo. Tieni conto che in ogni viaggio perdo circa 5 chili di peso.

 

Uno dei più preziosi bagagli di esperienza che porti a casa è sicuramente l'incontro e il confronto con popolazioni, culture e tradizioni diverse, per questo sarai anche abituato ai dettami della comunicazione interculturale. Quanto ti è di aiuto poi nella tua professione e quanto nella vita?

È uno degli aspetti più significativi del viaggio. Incontrare gente di diverse culture è un’esperienza entusiasmante e profonda. Io parto dal presupposto che tutto, bene o male, si ritrova a essere un “punto di vista”. E questo punto di vista cambia a seconda della cultura che ti circonda. È proprio quello che cerco nelle persone, punti di vista diversi che possano in qualche modo accrescere ed espandere il mio. E succede sempre. C’è sempre qualcosa da imparare dagli altri. Questo è il mio modo di affrontare la vita.

Riguardo la mia professione, portata spesso a relazionarsi con gente di culture radicalmente diverse dalla nostra…beh, inutile dire che secondo me è la chiave. Un po’ alla volta la curiosità e la scoperta ti fanno maturare, senza che tu possa rendertene conto, un rispetto profondo nei confronti di quello che non è tuo e che magari non capisci subito. Ti avvicini a loro con la curiosità e la voglia di scoprire il loro punto di vista e capisci cose straordinarie. Ti stupisci di come il loro punto di vista sulle cose fili liscio perfettamente come il tuo, devi solo accettare la diversa prospettiva.

 

Sappiamo bene che la condivisione del cibo è un rituale molto importante nell’interazione culturale. Ti è mai capitato di non poter dire no a cibi che ti sembravano strani?

La condivisione del cibo è rito molto particolare. La tua presenza potrebbe sconvolge il loro ritmo dal momento in cui non esiste il supermercato dove fare la spesa. Faccio un esempio: immagina questa famiglia che vive in una jurta in mezzo alla steppa mongola o alle montagne del Caucaso. È composta da 6 persone che vivono del formaggio e latte fatti dalla capra, e del micro orticello che riescono a coltivare nei 2 mesi di temperature miti. Ecco, poi arrivi tu, magari bello affamato. E diventi il settimo elemento da sfamare, e sappi che non ti negheranno mai il cibo. Ovviamente, davanti a un sacrificio simile, totalmente disinteressato, fatto solo per “umanità” non puoi dire di no. Assaggi e, se pensi non ti piaccia, trattieni il fiato per non sentire il gusto che spesso però ti sorprende. Alcuni cibi sono quasi immangiabili per noi, ma ti assicuro che dopo una giornata in moto sotto la pioggia, anche i più schizzinosi si ricrederebbero.

 

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 Campo sul Tolbo Nuur Mongolia 

 

Ascoltandoti parlare con un simile trasporto si potrebbe pensare che sia tutto molto facile... in realtà immagino che questi viaggi comportino, un notevole sacrificio. Qual è il motivo per cui sei convinto che ne valga la pena?

Hai detto bene, una cosa così “radicale” non è facile. Ho fatto delle rinunce, prima fra tutte quella di una famiglia. Per ora ho troppe cose da fare e con una famiglia a casa non ci potrebbero essere compromessi. Quindi, visto che una cosa escluderebbe l’altra, ora sono orientato a viaggiare, a scoprire il mondo e ad aprire la mia mente il più possibile. Poi, quando sarò un po’ più avanti con l’età magari ci sarà una creatura alla quale raccontare tutte queste bellissime esperienze che ho avuto la fortuna di vivere, così chiuderò il cerchio.

 

Nelle tue soste, quando il rombo della moto tace, preferisci il silenzio o gli echi di una popolazione in fermento?

In assoluto preferisco il silenzio, mi rilassa tantissimo.

 

I tuoi viaggi sono in gran parte in solitaria, ma attraverso la tua pagina Facebook riveli in realtà una gran voglia di condivisione... non ti pare un controsenso?

Sono d’accordo con te, viaggiare è una fortuna che non tutti hanno, quindi è un dovere quello di condividere, altrimenti non avrebbe senso. Un controsenso? In realtà può sembrare, ma non lo è. Essere da soli significa vivere l’esperienza in maniera totale, vivi ogni esperienza, ogni sensazione nel modo più profondo, intimo, possibile. Lasci alle emozioni il tempo di sedimentare e di diventare parte di te. Se ne parli subito con qualcuno, se lo racconti, perdi alcune sfumature del tuo modo vivere quell’istante, perdi la parte “tua” di quell’emozione. Ogni evento che viviamo in viaggio, e nella vita, lo viviamo in base a come siamo nel momento in cui accade, una specie di riflesso di come ti senti dentro. Se sei da solo questo diventa più profondo e intimo. Ti aiuta a crescere, a maturare. Ti aiuta a vivere con una maggiore consapevolezza quello che ti succede intorno.

 

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Alta Mongolia

  

Pensi che un giorno arriverai a pensare di aver visto tutto quello che desideravi, optando per un genere di viaggi più rilassante?

E chi lo sa… per ora sono dell’idea che più vedi più hai da vedere!

 

E’ plausibile che un giorno ti soffermerai a riflettere su questa tua passione: che sia stata una risorsa che ti ha aiutato a vivere meglio, o una complicazione alla quale è sempre stato difficile rinunciare?

Mi sono già soffermato spesso a pensare a questa “condanna”. Ma sai, la vita è una, e sono dell’idea che vada vissuta al massimo, riempiendola il più possibile con tutto quello che vuoi e che ti rende felice, cercando quell’armonia col mondo di cui parlavamo prima. Quell’armonia col mondo che poi hai il dovere di trasmettere agli altri, per condividere la bellezza che ci sta intorno.

Non è che parto sempre e per forza. Parto quando ne sento la necessità, quindi non è una complicazione, non c’è una forma di dipendenza dall’avventura se così possiamo definirla. Io mi ritengo fortunato a essere così, attivo, curioso. Sinceramente non rinuncerei mai a come sono.

 

Viaggiando con un bagaglio limitato, s’impara a portare con sé soltanto l’indispensabile, ma qual è la cosa che non può mai mancare nel tuo baule… e nel cuore?

Potrei risponderti semplicemente citando “Il Piccolo Principe”: “l’essenziale è invisibile agli occhi”.

In realtà quando viaggio porto sempre con me molte cose tecniche che spero di non utilizzare mai. Per quanto riguarda il cuore… beh, non ho nessuna foto o ricordo di casa in particolare. Ho con me la moto, basta lei da sola a riportarmi a casa con la mente, per questo l’essenziale è invisibile agli occhi. Sai, spesso la sera mi fermo 5 minuti a guardarla mentre se ne sta lì a raffreddarsi dopo una giornata di fatica. E davvero il mio pensiero ci sale su in un attimo e si ritrova casa tra gli affetti più cari e più veri.

 

 

Pagina Facebook di Daniele con il resoconto dei suoi viaggi:  

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