“VENGA PURE LA FINE”… PER COSTRUIRE UN NUOVO INIZIO


Intervista allo scrittore e giornalista Roberto Riccardi, direttore della rivista dell’Arma, candidato al premio Strega.

 

 

 

Di Giovanna Ranaldo                                                                                                           25.03.2014

 

 

 

Ci viene incontro nell’ingresso del suo studio di Roma, con l’affetto che si ritrova solo nei vecchi amici, in un pomeriggio di relax dalle presentazioni del suo ultimo libro, “Venga pure la fine”, edizioni E/O”. Ma il termine “riposo” e Roberto Riccardi non vanno a braccetto, tutt’altro… il pc acceso ci sussurra d’idee per nuove storie, che presto saranno offerte ai suoi appassionati lettori. Sorridente, simpatico, sempre impegnato su vari fronti, tra il suo ruolo primario di Colonnello dell’Arma, direttore della rivista dei Carabinieri, la lettura e i suoi libri, vanta già un curriculum degno dei migliori scrittori dei nostri tempi, ma non se ne cura. Nonostante questo successo Roberto ha conservato il suo tratto umile, di eterno ragazzo appassionato della vita e delle sfaccettature dell’animo umano, da scoprire attraverso i suoi irrinunciabili viaggi in tutto il mondo, con quel bagaglio di curiosità e profonda consapevolezza di chi ne ha viste tante.

Nato a Bari nel 1966, ha lavorato per anni in Calabria e Sicilia, ha comandato la Sezione antidroga del Nucleo investigativo di Roma e partecipato alle missioni in Bosnia e Kosovo. Come autore ha esordito nel 2009 con “Sono stato un numero” per Giuntina, a cui sono seguiti il thrillerLegame di sangue” (Giallo Mondadori, 2009), il romanzo storico “La foto sulla spiaggia” (Giuntina, 2012), i gialli “I condannati” (Giallo Mondadori, 2012) e “Undercover” (E/O 2012). Ha vinto numerosi premi letterari.

 

 

 

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 Lo scrittore e giornalista Roberto Riccardi

 

 

 

Giornalista, scrittore, Carabiniere, poni in ordine questi tuoi aspetti.

 

Difficile stabilire una gerarchia, se si fa tutto mettendoci tutto.  Queste tre attività hanno però una base comune: la curiosità. Nelle indagini è il bisogno di risolvere un caso, da cronista è il desiderio di andare oltre la superficie dei fatti, nei romanzi è la straordinaria possibilità di rubare storie alla vita creando mondi che non esistono, sempre però paralleli alla realtà.

 

Chi o cosa ispira il tuo estro di scrittore?

 

Il mio vissuto, le cose che vedo, i sentimenti e le emozioni che sperimento nel mio quotidiano cammino. È incredibile quanto banalmente possa venire l’idea per un nuovo romanzo: a volte basta una frase, una persona che incroci per strada in un attimo, un episodio irrisorio.  

 

“Legame di sangue” edito da Mondadori nel 2009 ti vede nelle vesti di giallista e vincitore di un premio. Un successo che si è ripetuto nei “Condannati”. Ci racconti l’evoluzione?

 

Quei due romanzi rispecchiano
la mia esperienza di giovane investigatore in Sicilia, con la difficoltà di affrontare fenomeni criminali molto più grandi di me e avversari che avevano il doppio dei miei anni.

 

“La foto sulla spiaggia”, un romanzo di una delicatezza struggente. Chi è quella bimba della foto e come sei arrivato a lei?

 

Quella bambina è Sissel Vogelmann, che a otto anni finì nel camino di Auschwitz. Volevo parlare di lei ma una biografia era impossibile, ne restavano pochi ricordi e una manciata di foto. Così ho rovesciato la prospettiva, mi sono inventato una bimba che si salva dal lager e ho immaginato la vita che poteva vivere, la sua crescita, la sua ricerca dell’amore.

 

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Guardando a ritroso nella tua vita, modificheresti qualche obiettivo o direzione presa?

 

Non cambierei nemmeno il più piccolo sentiero, un incrocio, una svolta. Magari in qualche momento mi godrei di più il viaggio, certe cose si apprendono facendole. Ci vorrebbero una vita per imparare e l’altra per vivere, ma l’hanno già detto in parecchi.     

 

Secondo te i libri possono avere un’anima propria che lo scrittore regala ai propri lettori e che muta con il sentire di chi legge?

 

Vado oltre, un libro non appena lo scrivi esce da te e diventa di chi lo leggerà. Certo, il risultato è soggettivo: tre lettori vedono lo stesso romanzo in altrettanti modi diversi, a seconda della sensibilità personale. È forse il mistero più affascinante della scrittura: lanci messaggi nella bottiglia e non sai chi li raccoglierà, né come. 

 

Prospettiva di genere nel libro “La farfalla impazzita”, metafora della vita di una donna…

 

La farfalla impazzita è Giulia Spizzichino, che ho aiutato a scrivere il libro: un’ebrea di Roma a cui hanno ucciso ventisei familiari, diciannove ad Auschwitz e sette alle Fosse Ardeatine, e ha passato la vita lottando coi suoi fantasmi, dibattendosi nel dolore come suggerisce l’immagine del titolo. 

 

Quanto c’è nei tuoi libri del Roberto Carabiniere, quanto del Roberto lettore e quanto del Roberto bambino?

 

Poiché questi soggetti convivono in un solo essere umano, direi che c’è tanto di tutti loro. La persona che scrive, con le sue pieghe e le sue sfaccettature, è la stessa che vive e che pensa. Dunque è tantissimo, ma credo valga per qualunque autore.  

 

In che momento della giornata i tuoi personaggi decidono d’incontrare la tua penna?

 

Sono mattiniero, che fortuna! Li incontro all’alba, quando la mente è fresca e in città regna il silenzio. Alle otto aziono un interruttore e scatta il colonnello.

 

Qualche amico che ti conosce bene, dice di te che riesci perfino a scrivere un libro pensando già alla trama del successivo…

 

È giocoforza. Quando esce un libro ne inizia la promozione, ma nel frattempo sei vicino alla consegna del successivo, per normale tempistica di lavorazione. Di conseguenza devi già pensare a quello che verrà dopo, altrimenti la giostra fa presto a fermarsi.

 

 

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"Il Carabiniere", la rivista dell'Arma dei Carabinieri diretta da Roberto Riccardi

 

 

Qual è secondo il tuo parere il momento più bello per uno scrittore (quando ha finalmente tra le mani la copia rugosa del nuovo libro, la prima presentazione, la conclusione della lettura delle bozze?).

 

Per me è il momento in cui svolgo le ultime revisioni del testo, quando mi sembra che la trama cominci a funzionare e la rilettura si traduce più che altro in un lavoro sullo stile, mentre la storia è già bella che definita.

 

Oggi le dinamiche legate al mondo mediatico hanno portato a un abbruttimento del linguaggio, impoverito e condito troppo spesso di turpiloqui, che si riflettono anche nei rapporti interpersonali. Credi che si possa tornare a una morigeratezza e rispetto per le persone e da dove si dovrebbe partire?

 

Purtroppo il tempo conosce una sola direzione, i ritorni al passato sono sempre difficili. Ma il linguaggio è in costante evoluzione, basta rileggere un libro dell’Ottocento per rendersene conto.  Il turpiloquio è ampiamente sdoganato, ma ci sono tanti romanzi contemporanei in cui esso appare poco, nella misura del fisiologico, di quanto è funzionale alla particolare ambientazione.

 

Chi è Rocco Liguori e cosa ci regalerà ancora?

 

Rocco è un investigatore che crede in ciò che fa, che non è disposto a barattare la sua coscienza con niente. Al tempo stesso è un essere umano con tante paure, incertezze, difetti. Credo che continuerà ancora a parlarci della sua vita e del suo lavoro, per la pensione mi sembra presto. Per esempio in questo periodo veleggia fra Palermo e New York. Per dirla come va detta, diciamo che il ragazzo non si fa mancare nulla.

 

 

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