CASO MARO’: IL CAPPIO INDIANO AL COLLO DELL’AJA?


Tra lungaggini e rimpalli di responsabilità, a farne le spese sono sempre i militari italiani e le loro famiglie

 

Di Floriana De Donno

Roma, 04 aprile 2016

 

 

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Che non sarebbe stato facile riportare Girone e la giurisdizione sul caso in Italia già lo si sapeva... ma che si dovesse combattere anche contro la carenza di buon senso della Corte Internazionale, foriera di tante pronunce sulla violazione dei diritti umani un po’ in giro per il mondo, no… proprio non ce lo aspettavamo.

E’ come essere squalificati per simulazione durante una partita di calcio senza esser mai caduti… Oppure perdere un incontro in casa giocando in undici contro due, (apparentemente).. ma quali misteriosi cannonieri nasconde l’India del tutto ignoti all’Italia?

Com’è noto il 30 marzo si è tenuta la seconda udienza di arbitrato internazionale innanzi al Tribunale dell’Aja, il quale ha il compito di decidere non anche sulla colpevolezza dei nostri Marò ma, esclusivamente, sullo stato nel quale gli stessi subiranno il processo.

I toni tra i due comparti legali, quello italiano e quello indiano, sono stati accesi sin da subito, e certamente non hanno contribuito a placarli l’esuberanti osservazioni scritte dell'India, depositate al Tribunale dell’Aja il 26 febbraio scorso, a quattro giorni dall’udienza.

Tali osservazioni seguivano la richiesta avanzata dall’Italia di riportare Girone a casa nel frattempo che, il Tribunale dell’Aja, avesse deciso a quale Stato attribuire la giurisdizione del caso.

La lettura in aula del documento, il cui contenuto è, a parere di chi scrive, assolutamente risibile, ha destato non poco stupore poiché l’India (che certo non brilla per garanzie di giustizia e democraticità), opponendosi vivacemente alla richiesta italiana ha motivato asserendo che: "c'è il rischio che Girone non ritorni in India nel caso venisse riconosciuta a Delhi la giurisdizione sul caso" e che sarebbero "necessarie assicurazioni in tal senso" dall'Italia, assicurazioni sino ad ora "insufficienti”.

Dopo tali affermazioni la vicenda non solo rende perplessi, ma ingenera quasi lievi sfumature d'ilarità, se non fosse per le gravi lungaggini a cui si assiste a scapito dei nostri soldati!

Vale giusto la pena ricordare che mentre l’India palleggia interessanti manipolazioni di prove e indecisioni giurisdizionali a carico dei nostri Marò, il solo Girone ha già scontato ben 4 anni di effettiva detenzione cautelare, presso l’ambasciata italiana, nello Stato indiano, in violazione di tutti i diritti umanitari universalmente riconosciuti e sulla violazione dei quali, proprio il Tribunale Internazionale si è pronunciato dai tempi di Norimberga!

In particolare l'India si è opposta al rientro dei Marò (il problema si pone soprattutto per Girone), con un mirabolante contorto costrutto di pensiero, che attribuisce “all'ostruzionismo fatto dall’Italia” il ritardo nell’attivare il processo in India a carico dei nostri Marò, sottolineando che: "È vero che la Corte Speciale indiana non ha avviato il processo ma non per negligenza o leggerezza da parte indiana, bensì per le azioni di ostruzionismo dell'Italia", la quale ha avanzato "ripetuti ricorsi e petizioni alla giustizia indiana” sicché, dice l’agente indiano Neeru Chadha, l'Italia "non può ora lamentarsi delle conseguenze della propria condotta”.

E perché no? Non può essere colpa dell’Italia se con reiterate petizione ha, in più battute, cercato di frenare un processo basato sul nulla, costruito su prove ampiamente manipolate dal governo indiano? Ci scusi l’India per questo eccesso di correttezza processuale, visto e considerato lo scenario drammatico degli ultimi quattro anni, che ha visto i nostri Marò passare da una richiesta di pena di morte a un più morbido “carcere a vita”.

Ebbene l’Aja risponderà con sentenza, sulla questione del rientro in Italia, solo tra quattro settimane!

L'ambasciatore Francesco Azzarello, che si dice non propriamente scoraggiato sulla decisione del Tribunale, al termine dell’udienza replica che: "Non si tratta di essere ottimismi o pessimisti, ma ovviamente l'Italia nutre speranze, basate su solide motivazioni giuridiche e umanitarie, altrimenti non sarebbe venuta. Sarà poi il Tribunale arbitrale a decidere a favore o contro la richiesta italiana e in quali termini".

 

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Foto Marina Militare 

 

Cosa valuterà il Tribunale Internazionale in questo frattempo?

In primo luogo una radicale violazione dei diritti umani (cosa non da poco, visto che si discute della materia per cui il Tribunale dell’Aja ha ragion d’essere).

La motivazione è presto spiegata. L'ambasciatore Azzarello ha evidenziato come (considerato che il procedimento arbitrale sul caso Marò "potrebbe durare almeno tre o quattro anni"), Salvatore Girone rischia di rimanere "detenuto a Delhi, senza alcun capo d'accusa per un totale di sette-otto anni, determinando una grave violazione dei suoi diritti umani". Per tal motivo il fuciliere "deve essere autorizzato a tornare a casa fino alla decisione finale" dell'arbitrato.

I tempi dell'arbitrato internazionale che, ricordiamo, sono quella serie di udienze che porteranno a decidere “dove” si terrà il processo nel merito, sono lunghi poiché la Corte Internazionale ha concesso a Italia e India un tempo di presentazione di deduzioni e controdeduzioni che si concluderà nel mese di febbraio 2018.

Con un grande gesto di coraggio, durante il proprio intervento innanzi ai giudici della Corte Internazionale, l’ambasciatore Azzarello ha ribadito, con veemenza che “l'unica ragione per cui il Sergente Girone non è autorizzato a lasciare l'India è perché rappresenta una garanzia che l'Italia lo farà tornare a Delhi per un eventuale futuro processo. Ma un essere umano non può essere usato come garanzia per la condotta di uno Stato". "L'Italia ha già preso, e intende ribadirlo nel modo più solenne, l'impegno di rispettare qualsiasi decisione di questo Tribunale" compresa quella di "riportare Girone in India" nel qual caso dovesse essere riconosciuta la giurisdizione indiana.

Puntualmente, tuttavia, un’Italia troppo garantista pare contagiare anche l’algido inglese Sir Daniel Bethlehem, componente del team legale italiano innanzi al Tribunale arbitrale all'Aja il quale propone, a garanzia dell’India, che Salvatore Girone rientri in patria a precise “condizioni” come quella di "consegnare il suo passaporto alle autorità italiane, di non viaggiare all'estero senza un permesso specifico e di riferire periodicamente alle autorità designate in Italia per tutto il periodo in questione" arbitrale.

Affermazione certamente non priva di senso se non vi fossero stati di mezzo già quattro anni di detenzione “cautelare”, e dunque “Dio salvi la Regina!” ma anche il Team legale italiano da queste iperboliche uscite inglesi!

E in effetti, anche sul punto di una ingiusta detenzione cautelare, il nostro ambasciatore ha rimarcato che la circostanza che Girone sia “costretto a vivere a migliaia di chilometri dalla sua famiglia, con due figli ancora piccoli, privato della sua libertà e dei suoi diritti. Il danno ai suoi diritti riguarda l'Italia, che subisce un pregiudizio grave e irreversibile dal protrarsi della sua detenzione, e dell'esercizio della giurisdizione su un organo dello Stato italiano".

La posizione dell’Italia tuttavia è molto debole poiché ha, di fatto, accettato che i due Marò venissero giudicati dal Tribunale indiano attraverso un clamoroso autogoal.

Il governo italiano, difatti, decideva di rimborsare le famiglie dei due pescatori con un procedimento che ha seguito un iter giudiziario indiano ben preciso, innanzi a un tribunale, affinché il giudice indiano desse il proprio assenso al fatto che le famiglie venissero risarcite e si ritirassero dal processo, (una sorta di remissione di querela dietro pagamento del risarcimento). Questo in India, però, viene processualmente interpretato come una ammissione di colpa.

In attesa quindi della decisione del Tribunale dell’Aja, l’India sarà in grado di far prevalere, per quanto singolari, le proprie ragioni? Mah!..

 

 

 

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Floriana De Donno è avvocato specializzato in materia penalistica dal 2005. Completa la sua formazione professionale con master, corsi e la specializzazione in diritto militare penale e amministrativo nel 2008. Ad oggi è autrice di articoli tecnici a tema, e si divide tra i due studi (Roma e Lecce) e la direzione del corso "Diritto Penale Militare" per il Centro Studi De Armas. Per informazioni: www.avvflorianadedonno.it - avv.florianadedonno@yahoo.it

 

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