IMPROVING SECURITY BY DEMOCRATIC PARTICIPATION (ISDEP): LA SFIDA EUROPEA ALLA RADICALIZZAZIONE DEL TERRORISMO E AL SUO CONTRASTO


 

Di Maria Gabriella Pasqualini                                          Bramshill, (Hampshire – UK)           

del 03 giugno 2014

 

 

La minaccia del terrorismo proveniente da tutte le matrici all’interno dell’Europa sta aumentando, chi non ricorda, ad esempio, l’azione di Anders Breivik, il terrorista norvegese che terrorizzò la folla il 22 luglio 2011, uccidendo 77 persone? O l’attentato di Arid Uka, tedesco di nascita, di ascendenza kosovara, che il 2 marzo 2011 sparò su un gruppo di militari tedeschi in partenza dalla base di Ramstein, lasciando due morti sul terreno. Parlando di terrorismo in questo momento storico vien fatto di pensare solo a quello di matrice islamica ma episodi violenti non provengono solo da quella parte. La strategia antiterrorismo della Commissione Europea si è, da qualche anno, focalizzata sul possibile contributo attivo di particolari settori della società, come ad esempio docenti nelle scuole e nelle università o degli stessi operatori delle Forze dell’Ordine, particolarmente in servizio di ordine pubblico (inclusa la Polizia Penitenziaria), nel comprendere quegli elementi di vulnerabilità che rendono l’individuo facilmente preda di gruppi estremisti di ogni matrice.

 

La Commissione Europea per la Prevenzione e la Lotta contro il Crimine (Direzione Generale degli Affari Interni) ha quindi coerentemente dato il suo supporto politico e finanziario a un’interessante iniziativa della “Association of Chief Police Officers of the National Coordinator of Prevent”, al progetto ISDEP (Improving security by Democratic  Participation (www.isdep.eu) in partnership con otto stati membri dell’Unione Europea (Belgio, Bulgaria, Germania, Italia, Olanda, Regno Unito, Repubblica Ceca e Svezia). Il corso viene tenuto a Bramshill, (Hampshire – UK) nel Policing College (ove ha sede anche CEPOL). Sistemi democratici per prevenire una radicalizzazione del fenomeno del terrorismo? O almeno riconoscere i segnali di vulnerabilità individuale e tentare di combatterli prima che si arrivi al “danno” finale? Aiutare chi vuole uscire dal gorgo infernale dell’estremismo? Una sfida difficile, dunque, questa strategia europea di controterrorismo, cioè combattere globalmente il terrorismo, rispettando i diritti umani, cercando di rendere più sicuro il territorio europeo: prevenire la radicalizzazione, comprendendo i fattori che la provocano e danno origine al reclutamento in Europa di “combattenti per la libertà” (freedom fighters); proteggere cittadini e infrastrutture da attacchi estremisti; investigare e  processare i terroristi ma soprattutto impedire la pianificazione degli attentati tagliando alla radice le possibili risorse economiche, la rete assistenziale e la rete sul web; preparare i cittadini a reagire  dopo un attacco, a coordinare la risposta e a rispondere alle necessità delle vittime.

 

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 Old Mansion Bramshill (Foto Firuzeh) 

 

ISDEP è un complesso progetto biennale di formazione di prima linea per operatori istituzionali del settore e per coloro che, considerato il loro impegno sociale, hanno, ad esempio, rapporti con i giovani soprattutto delle scuole superiori e dell’Università; tende a dare elementi di valutazione anche a chi opera in situazioni particolarmente difficili (periferie emarginate, operatori della sanità mentale, volontari di organizzazioni non governative) per riconoscere e prevenire la radicalizzazione di questi fenomeni e linee guida da applicare per contrastarli. Sostiene Cecilia Malström, fino al 25 maggio 2014, Commissario europeo per gli Affari Interni della Commissione presieduta da Barroso, che i terroristi “lupi sciolti” e i combattenti per la libertà europei (che sempre più numerosi partecipano a guerre fuori Europa, come in Siria) non diventano radicali da un giorno all’altro e in “beata” solitudine ma hanno accesso a materiale di propaganda di gruppi che propongono e diffondono la loro ideologia raggiungendo un sempre maggior numero di persone che, da soggetti “vulnerabili” recepiscono i loro messaggi. L’Europa sta studiando a fondo il problema e il Regno Unito, con le sue particolari esperienze nel settore, ha dato un notevole impulso a questi sforzi di contrasto al terrorismo, considerando che, come sempre, è l’umana intelligenza (HUMINT, nel più puro stile informativo per la sicurezza) che può captare segnali anche lievi di un disagio foriero di manifestazioni violente a danno della popolazione; l’umana intelligenza anche di chi non veste istituzionalmente una divisa.

Nel 2011 la Commissione europea, presieduta dalla Malström, aveva lanciato un programma di Radicalisation Awareness Network, con un gruppo di 700 esperti. Costoro focalizzarono studi e ricerche sul modo di prevenire una radicalizzazione dell’estremismo e del conseguente terrorismo, avendo come risultato dieci articolate “raccomandazioni” per istruire sul campo quante più persone possibili in grado di individuare e contrastare simili fenomeni, prima ancora ricorrere alla presenza e alla professionalità delle forze di polizia: cittadini che, opportunamente informati, possano dare un contributo attento alla prevenzione di manifestazioni violente dell’estremismo. ISDEP è un programma formativo molto articolato che, partendo da una sommaria storia della nascita di alcuni estremismi, propone, in conformità a articolate ricerche su numerosi case-study, una guida sintetica ma approfondita per esercitarsi a riconoscere quegli indicatori di vulnerabilità che “aprono gli occhi” anche a chi per mestiere non fa parte di Forze di Polizia. Per notizia, i casi reali studiati per questo particolare programma sono stati, tra gli altri, quelli di Elin Wedebrand, già estremista di destra, svedese; Morren Hjornholm, già estremista di sinistra, danese; Rashaad Alì e Usama Hasan, estremisti islamici, inglesi; Harry Maguire, già estremista Ira, irlandese. Queste persone, in particolare, si sono prestate a raccontare con dovizia di particolari la loro storia dando un contributo pratico al progetto e ai frequentatori del programma. Il programma ISDEP ha individuato almeno diciannove indicatori di vulnerabilità, evidenti e classificabili, indicando però che ve ne sono molti altri non facilmente catalogabili in uno schema razionale ma intuitivo.

Questi indicatori sono da considerarsi come una lista di più fattori convergenti che possono evidenziare un potenziale rischio di radicalizzazione dell’individuo il quale può abbandonarsi a un estremismo attivo. Non è facile identificarli ma sono fondamentali per comprendere il comportamento dei singoli individui e opporre nella vita normale della società quelle misure necessarie, non coercitive, per evitare il pericolo. L’identificazione di questi fattori è molto complessa e richiede, da parte di chi avvicina il soggetto o i soggetti già destabilizzati (pur se in modo criptico), una notevole attenzione perché a volte alcuni cambiamenti, ancorché radicali, di comportamento, non vengono percepiti in modo negativo e non se ne valuta la pericolosità e la conseguente potenziale evoluzione verso un estremismo violento. E’ indubbio che la mente e l’animo dell’essere umano seguono percorsi non facilmente intuibili ma hanno sempre un riflesso sul comportamento esterno che va valutato attentamente.

 

Quali elementi dunque possono rendere un individuo preda di gruppi estremisti: 

  •  il desiderio di far giustizia o esprimere in modo plateale lamentele e rancori;
  •    una motivazione politica o morale;
  •    la necessità di difendere o difendersi da presunte minacce;
  •    il bisogno di trovare una propria identità e un senso nella vita, uno status sociale e quindi essere controllati o influenzati da un gruppo;
  •    desiderio di adrenalina, di avventura o di cameratismo;
  •    desiderio di avere un dominio su altri;
  •    la predisposizione all’indottrinazione;
  •    l’opportunità di offendere qualche ‘nemico’;
  •    il supporto dato dalla famiglia e/o da un gruppo all’ideologia estremista;
  •    una iper-identificazione con un gruppo estremista, con una causa, con una ideologia;
  •    il non riconoscere il nemico come essere umano;
  •    un atteggiamento scusante le offese estremiste di qualsiasi genere;
  •    il considerare ogni mezzo utile per conseguire un fine (Machiavelli lo aveva ben teorizzato qualche secolo fa);
  •    la presenza di una malattia mentale o di quello che viene chiamato "disturbo" o "disordine" della personalità, spesso presente nei malati schizofrenici anche non riconosciuti ancora come tali.

 

 

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Ovviamente non sempre tutti questi indicatori sono presenti in una persona o in un gruppo ma, secondo la formazione ISDEP, anche uno solo dovrebbe far accendere la maggiore attenzione di un operatore in un gruppo sociale o anche semplicemente nelle famiglie, spesso disattente ai comportamenti dei giovani. Nel complesso e articolato programma, molta attenzione è stata prestata all’impatto che i media e i social network, ormai protagonisti di questo mondo globalizzato, hanno sul processo di radicalizzazione degli estremismi. Sempre accade che i giornalisti, soprattutto se inviati di guerra, decidano cosa fare vedere ai telespettatori e come, o i capo-redattori… Scriveva Malcolm X nei lontani Anni Sessanta: “…i media sono l’entità più potente sulla terra. Hanno il potere di rendere innocente un colpevole e colpevole un innocente, e questo è potere. Perché controllano le menti delle masse…”. Già nel 1941 Orson Welles girava un film sull’ascesa e caduta del magnate della stampa Charles Foster Kane, pellicola tradotta in italiano con “Il Quarto Potere”, ove appunto il potere della stampa era ben  messo in rilievo.

Attualmente con i nuovi ritrovati tecnologici, la notizia viaggia alla velocità delle luce: l’inizio dell’invasione dell’Iraq avvenne in diretta TV.... Ognuno di noi ricorda chiaramente di un singolo avvenimento terroristico una o due immagini che hanno particolarmente colpito la nostra mente e che in seguito possono aver fatto dare una opinione sullo specifico, consciamente o inconsciamente influenzati da una immagine o da un brandello di notizia, magari enfatizzato. I terroristi sanno bene come far uso dei media, quali messaggi inviare e come inviarli e a loro volta gli operatori di questo settore amplificano, per il diritto di cronaca, messaggi chiari o subliminali che hanno un impatto forte soprattutto su persone fragili che vacillano nella vita quotidiana e sono esposte a quegli indicatori di vulnerabilità ai quali si è accennato sopra. Una fotografia o solo un pezzo di una fotografia possono fare dare giudizi completamente diversi di una situazione… sta certamente alla deontologia professionale del singolo operatore dei media proporre la notizia con onestà intellettuale ma comunque il terrorista, o il gruppo estremista, sa che le sue azioni saranno conosciute in tutto il mondo e influenzeranno i governanti rispetto ai loro ricatti o movimenti.

Dunque il programma si pone anche l’obiettivo di indicare, a chi deve cercare di contrastare il terrorismo, come interpretare o far interpretare una notizia a persone fragili a rischio d’indottrinamento. Molti altri temi vengono trattati in questo programma di formazione somministrato ai “formatori”, in quanto uno degli obiettivi appunto è di diffondere “a cascata” questa strategia europea nei Paesi dell’Unione. Indubbiamente il progetto si presenta molto interessante ma a parere di chi scrive, deve essere adattato o adattabile alle singole realtà degli Stati partecipanti. E’ ben vero che l’Italia ha una tradizione notevole nel settore delle investigazioni, da parte degli organi istituzionalmente preposti, ma a livello scolastico e universitario non fa molto. Ci sono le encomiabili “giornate della legalità” con operatori, anche ad alto livello (ufficiali di Polizia, dei Carabinieri ad esempio) che spiegano il significato di legalità, la lotta per la legalità contro il crimine organizzato, ma non indicano come riconoscere ad esempio chi, schiavo della droga o potenziale schiavo della droga, finisce per divenire preda anche dell’estremismo di matrice criminale identificandosi nel gruppo.

Questo della criminalità organizzata è certamente un caso particolare, anche se alcuni indicatori di vulnerabilità sono presenti anche in questa fattispecie. E non solo quelli più conosciuti (povertà, emarginazione, appartenenza a un gruppo sociale per nascita, etc...). In Italia ancora molto si deve fare nelle scuole e nelle Università a questo riguardo: la società italiana è ormai multietnica ma l’integrazione inizia a soffrire di varie difficoltà che in un vicino futuro può portare ad una radicalizzazione dell’estremismo anche in strati sociali che sembrerebbero immuni da tale “virus”. In sintesi, questo progetto della Polizia britannica, condiviso da otto Stati europei, è un programma concreto che certamente ha bisogno di più di una settimana nella quale si articola attualmente per gruppi di operatori. Sarebbe utile per l’Italia riprenderlo, adeguarlo e organizzarlo con grande rigore scientifico in più moduli e in molte città soprattutto per docenti a vari livelli, assistenti sociali e volontari dell’emarginazione, con una sinergia tra mondo scolastico/accademico, Forze di Polizia e Forze Armate, nei settori di competenza.

 

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Maria Gabriella Pasqualini. Storico militare. Docente universitario per 40 anni. Per 7 anni Vicepresidente del Comitato consultivo del Capo di Stato Maggiore Difesa per il servizio militare volontario femminile.  Due missioni conoscitive in Afghanistan e Iraq. Ha scritto numerosi libri di storia e saggi. Editore e Direttore scientifico del sito di analisi geopolitica ‘Osservatorio analitico’; collabora con la rivista GNOSIS e con altre testate militari e civili. Per la Storia dei Servizi segreti italiani ha scritto un corpus di cinque volumi. www.osservatorioanalitico.com

 

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