UNA VITA DA GIS


Intervista a Eichel, uno dei “soci fondatori” del reparto

 

 

 

Di Giovanna Ranaldo

Roma 01 aprile 2015

 

 

L’umiltà è una delle sue più doti più belle, unita alla determinazione e alla generosità d’animo, ma anche a un piglio flemmatico e riservato. Quando gli abbiamo proposto l’intervista ha subito sorriso, facendo il nome di altri colleghi, secondo lui più adatti, ma abbiamo insistito: “un socio fondatore è un socio fondatore”! Così si definiscono i militari che hanno “edificato”, dato vita al Reparto. E così siamo riusciti a incontrarlo in una bella mattinata romana, intercettandolo tra i vari movimenti di una giornata come un altra. Si chiama Beppe Ruggirello, classe 1956, (insignito dell'onoreficenza di "Cavaliere Ordine al Merito della Repubblica Italiana" nel 2008), tutti lo conoscono come Eichel, uno dei Carabinieri che hanno fondato il Gruppo Intervento Speciale nel lontano 1978. Un tipico “nome di battaglia” (nickname) che tra operativi si crea per tutelare la propria identità, ma che ti rimane cucito addosso come una seconda pelle. Oggi Eichel si è ritirato a vita più tranquilla, per raggiunti limiti di età, ma la scorza rimane quella dell’Operatore dei GIS, perché una volta che dedichi al reparto gran parte della tua esistenza, resti un suo figlio per sempre. 

 

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Eichel in una recente foto, prima di lasciare il GIS per raggiunti limiti di età. Foto Eichel

 

Eichel, chi sono gli Operatori dei GIS e cosa vuol dire far parte di questo reparto?

Gli operatori del GIS sono prima di tutto Carabinieri, altamente specializzati, addestrati ed equipaggiati, impiegati anche a supporto all’Arma territoriale per delicate e/o complesse operazioni di polizia, ma principalmente sono deputati a fronteggiare fenomeni di terrorismo, talvolta con interventi ad altissimo rischio, ma mettendo sempre in primo piano la salvaguardia di vita/e umane. Credo si possa facilmente comprendere l’enorme responsabilità che grava su ciascun operatore del GIS durante un “intervento speciale”, laddove sono a rischio vite umane. Far parte di questo reparto vuol dire dedicare anima e corpo all’addestramento, senza soluzione di continuità, sempre alla ricerca della perfezione, allo scopo di ridurre al minimo le probabilità d’insuccesso. A tale proposito mi viene in mente una frase dell’allora comandante del 1° Battaglione “Tuscania” Colonnello Romano Marchisio “più sudore, meno sangue”, in sostanza più ti addestri, meno rischi. Non so se sia un suo prodotto, ma sicuramente mi ha molto colpito ed è rimasta indelebile nella mia mente.

 

Quanta parte della tua vita hai dedicato all’Arma dei Carabinieri?

Complessivamente 35 anni. Poco più di uno nel 1° Battaglione Carabinieri Paracadutisti “Tuscania” e il resto al GIS tranne il periodo della scuola sottufficiali (settembre 1981 – giugno 1983).

 

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Attività addestrativa agli esordi del reparto speciale dell'Arma. Foto Eichel

 

Qual è stata la tua specializzazione nel Reparto?

Le specializzazioni che avevo al reparto erano diverse, ma la più importante è stata sicuramente quella di “tiratore scelto” che ho sempre praticato sin dall’inizio pur senza averne formalmente la qualifica. Il titolo di tiratore scelto l’ho conseguito solamente dopo diversi anni, addirittura prima ancora ho preso quello di “tiratore di precisione” per reparti speciali, dopo aver fatto un corso in Germania presso il reparto speciale tedesco GSG9 (Grenzschutzgruppe 9)[1]. Ricordo che nei primi anni di vita del Reparto le specializzazioni non si potevano scegliere, ma si prendevano al volo le opportunità che si presentavano.

Il “Reparto”, risicato di numero (eravamo appena in 36, ufficiali compresi), si guardava bene dal mandare un operatore a specializzarsi su qualcosa che sapeva già fare. Il mio esempio è stato eloquente, io ero bravissimo nel tiro di precisione, quindi perché privarsi per un lungo periodo di un Operatore quando non era strettamente necessario? Piuttosto si mandava a specializzare un Operatore in un altro settore più utile nell’immediato, per sopperire al più presto le carenze. Conseguire specializzazioni comportava sicuramente impegno, dedizione e talvolta qualche sacrificio economico, tanta soddisfazione, ma anche tanto impegno per riuscire a mantenerle.

 

Con che spirito ci si metteva alla prova?

Bisognava classificarsi sempre fra i primi. Era impensabile rientrare al reparto con graduatoria finale nella media, era una questione di orgoglio personale.

 

Puoi raccontarci com’è stato il tuo inizio?

Tutto ebbe inizio il 25 ottobre del 1977 con la direttiva del Ministero dell’Interno per la costituzione di unità operative per operazioni speciali anti-terrorismo e anti-guerriglia. Da quel giorno in poi l’interpellanza per la costituzione del GIS ebbe la sua realtà. Tutte le unità selezionate erano rigorosamente provenienti dal 1° Battaglione Carabinieri paracadutisti “Tuscania”. Oggi sono provenienti esclusivamente da quello che è diventato il 1° Reggimento “Tuscania”.

Il personale rispose massicciamente a tale esigenza. Le prove per la selezione erano molto impegnative e non solo sul fronte dello stress fisico; talvolta le attività venivano prolungate notevolmente dopo il consueto orario di lavoro, compresi anche il sabato mattina e la domenica pomeriggio. In breve tempo questa “selezione naturale” diede i suoi frutti. I rinunciatari erano tanti, ma negli “irriducibili” ce n’era ancora qualcuno di troppo. A questo punto fu fatta un ulteriore scrematura, ma questa volta in base all’anzianità che ciascuno aveva al Tuscania.

Io con appena un anno di servizio tra i paracadutisti, non avevo alcuna possibilità di rientrarci, ero in fondo alla graduatoria, quindi tagliato fuori dalla lista provvisoria dei prescelti. Questa situazione durò solo qualche giorno. Fui ripescato, probabilmente perché un altro aspirante si era arreso. Da gennaio lavoravamo già in gruppo. Il trasferimento ufficiale avvenne il 6 febbraio 1978, data della costituzione del Gruppo Intervento Speciale dell’Arma dei Carabinieri. Fra tutti i componenti del GIS ero quello con minor anzianità di servizio nell’Arma. Come età anagrafica ce n’era soltanto uno poco più giovane di me (nickname “Mimmuzzo”), insomma io ero l’ultima ruota del carro. Da lì a qualche giorno ci siamo trasferiti in una struttura diversa, occupando 4 camerette (il resto della caserma era occupato da altri militari), senza docce e acqua calda. Per fortuna questa situazione durò meno di un mese.

Il reparto venne da subito suddiviso in 2 Sezioni le quali si alternavano nel seguire corsi intensi, ma di minor durata presso i centri addestrativi dell’Arma, per acquisire tecniche di tiro, di arrampicata e di discesa in corda doppia. Durante questa fase non si tralasciava mai l’attività fisica e le arti marziali. Si lavorava più a lungo, si facevano turni di reperibilità a giorni alterni e tutto questo senza guadagnare nulla di più rispetto ai colleghi del 1° Battaglione “Tuscania”. Chi ha deciso di fare questo lavoro non lo ha fatto sicuramente per ritorni economici, ma solo ed esclusivamente per passione!

 

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Eichel durante il giuramento per entrare nell'Arma dei Carabinieri. Foto Eichel

 

Come nasce il tuo nickname “Eichel”?

In verità il mio primo nickname fu “Lex Luthor”, personaggio dei fumetti, ma mi chiamavano sempre Lex o Luthor, lo scienziato pazzo antagonista di “Superman”. Mi è stato attribuito questo nomignolo perché a me piaceva molto tutto quello che aveva a che fare con la tecnologia, soprattutto innovativa. Fra l’altro questa mia passione mi portava a studiare per bene tutti gli apparati che man mano arrivavano al GIS (visori, radio, armi ecc.). Tutto questo si traduceva a vantaggio degli Operatori, perché per loro comodità non perdevano tempo a studiare libretti d’istruzione dei materiali (almeno all’inizio), ma se li facevano semplicemente spiegare da me. Il rovescio della medaglia (per me) consisteva nel fatto che quando arrivava una delegazione in visita al Reparto, a me deputavano il compito di illustrare i materiali speciali in dotazione.

 

Ma l’obiettivo di Luthor è far fuori il buono?!

Esatto, lo scopo principale di “Lex Luthor” (quello dei fumetti) era di uccidere “Superman” e di avere il dominio del mondo a scapito dell’umanità, ma siccome, oltre ad essere scienziato, era anche cattivo, corrotto e machiavellico, (aggettivi che non mi appartengono nella maniera più assoluta), desideravo che mi si venisse attribuito un altro nickname ma mi sentivo ridicolo nel proporre agli altri di cambiare, (è tradizione che siano attribuzioni che non si modificano su iniziativa del soggetto in questione ndr) e non lo feci. Un giorno, durante una banale conversazione fra colleghi, iniziammo a raccontarci della nostra infanzia: com’eravamo da piccoli e quali erano i nomi che usavamo tra bimbi. In quell’occasione venne fuori il mio nickname “Eichel” che mi era stato attribuito in Germania, dai miei amici d'infanzia tedeschi. Sono cresciuto lì dal nono al ventesimo anno di età, anno in cui mi arruolai nei nell’Arma dei Carabinieri. Non mi sono mai chiesto perché mi fu dato questo nomignolo in Germania, ma ne so il significato: Eichel vuol dire ghianda. Da quel giorno in poi senza che io ne facessi richiesta, tutti incominciarono a chiamarmi “Eichel”.

 

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Mezzi, materiali e tecniche si sono evoluti con il passar del tempo, ma alla base resta sempre un costante e intenso addestramento. Foto Eichel

 

Qualche altro tuo collega ha dichiarato che inizialmente si faceva di tutto, non c’erano le attrezzature e la schiera di personale di cui è dotato il reparto oggi.

Non avevamo un nucleo comando né una sezione addestrativa, eravamo tutti operativi. Effettivamente facevamo veramente di tutto, principalmente dedicavamo la maggior parte della giornata all’addestramento, organizzando esercizi di tiro e tattici creando scrupolosamente sempre nuovi scenari operativi, avendo come tema principale la “liberazione di ostaggi” in mano ai terroristi. La voglia di esplorare questo settore era infinita, il tempo sembrava non bastare mai e non solo per addestrarsi, ma anche per predisporre e strutturare tutto quello che c’era “dietro le quinte”, per dirla in soldoni: “noi eravamo gli operativi e noi eravamo i logistici”. Sono sempre stato convinto che i maggiori sacrifici li facessero gli ammogliati, che potevano dedicare pochissimo tempo alla loro famiglia e alcuni sottufficiali, che portavano avanti anche il lavoro d’ufficio solo ed esclusivamente fuori dall’orario di addestramento.

A dire il vero anch’io avevo i miei compiti extra orario, mi occupavo insieme ad altri miei colleghi del magazzino radio e materiali speciali, altri si preoccupavano dell’armeria, altri ancora del magazzino roccia etc… Ovviamente fuori dall’orario addestrativo. La quantità di lavoro non mi pesava, facevo tutto con il massimo impegno. Un altro piccolo particolare che mi viene in mente è quello che a giorni alterni, ciascuna sezione doveva assicurare la “prontezza operativa” entro pochi minuti. Questa “disponibilità” si garantiva con indosso la tuta operativa (all’epoca era ancora la “tuta da lancio” dei paracadutisti ndr), h24 con permanenza obbligata in sede e per quelli ammogliati fino alle ore 21, senza alcun compenso retributivo di ore di straordinario né di qualsiasi altra indennità. Non importava, ero orgoglioso e mi ritenevo fortunato di far parte di questo Gruppo, mi sentivo come in una grande famiglia, dove si collaborava, si soffriva e si gioiva insieme.

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Judo, una delle attività praticate da sempre presso il GIS. Foto Eichel  

 

Il GIS è sempre stato noto per gli scambi con reparti paritetici esteri, puoi raccontarci la tua esperienza?

Ritengo che lo scambio con reparti paritetici esteri sia un “must”. In tali circostanze i reparti confrontano il proprio armamento ed equipaggiamento, si scambiano tecniche addestrative/operative e soprattutto esperienze operative.All’estero ho partecipato a scambi addestrativi con il GEO[2], il GEK[3], il GIGN[4], il GSG9, il SAS[5], il SEK[6] di Monaco di Baviera, il SEK di Colonia, il SEK di Amburgo.Con il GSG9 i rapporti che ho avuto sono stati frequenti, organizzava i CTC (Combat Team Competition) fra Reparti speciali paritetici, di tutto il mondo. Negli anni a seguire i reparti invitati a gareggiare erano quelli più simili a loro, con le stesse problematiche giuridiche e quindi di conseguenza anche tecniche operative.Noi come GIS, a tutt’oggi siamo sempre stati invitati e abbiamo periodici scambi addestrativi.

 

Quanto è importante la volontà e quanto l’addestramento?

Qui sarò sintetico: volontà e addestramento sono complementari fra di loro. Se ti addestri senza volontà non otterrai mai il massimo e viceversa se hai volontà ma non ti addestri otterrai meno ancora.

 

Qual è stata la tua prima operazione?

Dal 13 marzo 1978 tutta la 2^ sezione del GIS frequentava (a Roma presso il “Centro Carabinieri di Perfezionamento al Tiro”) un iter formativo denominato “Corso di perfezionamento al tiro per militari del GIS”. Era il nostro primo corso, che seguivamo da “GIS” quindi non si può dire che fossimo già operativi. Le cose cambiarono dal 16 marzo 1978, giorno in cui fu rapito Aldo Moro, perché venimmo subito impiegati, con continuità, per la ricerca di covi delle BR.

Ci attivavamo su chiamata e non c’era tempo di prepararsi, tutto doveva essere già predisposto. Non avevamo alcuna notizia dell’obiettivo, ci veniva indicato solamente quando questo era “a vista”. I mezzi impiegati erano gli F12 dell’Alfa Romeo, come uniforme avevamo solo la tuta da lancio e basco rosso, mentre come  armamento M12 e pistola Beretta cal. 9mm corto. Arrivavamo nei pressi del target alla massima velocità alla quale la strada e l’automezzo ci consentivano di andare. Si saltava giù dagli automezzi e in pochi secondi avevamo già circondato l’obiettivo subito nell’immediato, senza interruzione di movimento. Avanzavamo in maniera fluida coprendoci a vicenda fino a saturare tutti gli ingressi e probabili vie di fuga, poi in sicurezza si procedeva al controllo degli occupanti e dell’abitazione stessa. Insomma il nostro primo intervento è stato un “assalto di squadra”. Non si poteva definire “intervento speciale”, ma speciale lo è stato sicuramente per me. Il sincronismo nei movimenti e la rapidità nella sua esecuzione nel totale silenzio, mi avevano profondamente impressionato. Tutto questo mi aveva dato enorme sicurezza e convinzione che il GIS avesse preso gli uomini migliori.

 


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Il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, durante una visita in Bosnia, scortato dai Carabinieri del GIS. Foto Eichel

 

 

Quanti teatri operativi hai conosciuto, hai qualche aneddoto da raccontarci?

Ho iniziato con l’Albania poi più volte in Bosnia, Kosovo e come ultima l’Iraq. In Bosnia ho fatto la scorta  al Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, durante una sua visita a Sarajevo. Nel  tardo pomeriggio, con un’ora di anticipo rispetto al programma, lo scortammo sotto l’aeromobile per il suo rientro in Patria. Fino a quel momento era filato tutto liscio. Ci accertammo che fosse tutto a posto sull’aereo e coì fu, ma …piccolo particolare, mancavano i piloti! Vani i tentativi di contattarli, erano irreperibili! Lui reagì con estrema naturalezza. Scese dall’auto e si mise a conversare con noi, anzi parlava sempre lui e ogni tanto faceva qualche battuta. Dopo 40 minuti circa, arrivarono i piloti. Con il Presidente ci salutammo con tanta cordialità e conservo ancora quella foto ricordo.

 

Che cos’è la paura per un incursore?

La paura per un incursore è un’emozione, con cui bisogna convivere. Il duro addestramento è mirato a gestire la paura e a separare quella percepita da quella reale. Ma non si tratta di un nucleo omogeneo, essa può assumere varie forme, come ad esempio la consapevolezza di quel margine sottile di probabilità, di non riuscire a portare a termine la missione, per l’evolversi di situazioni inaspettate e improvvise perdendo così il controllo della situazione. L’addestramento in questo è fondamentale: per ridurre al minimo il rischio di fallimento, durante lo “stato di paura”, quindi massima preoccupazione, l’incursore controlla in automatico, come per istinto, l’armamento, l’equipaggiamento e tutto l’ambiente circostante facendo un checkup continuo di tutto. Il cervello viaggia alla velocità della luce, simulando mentalmente tutto quello che potrebbe accadere e in tal caso pensa a più soluzioni per risolvere. Prontezza e lucidità sono elementi imprescindibili in ogni caso. Tuttavia, oggi che ho concluso il mio mandato e il mio percorso nei GIS, penso che la vera paura per un incursore sia legata all'unico nemico che non si può sconfiggere. Il tempo. Il temuto giorno in cui si dovrà separare dalla famiglia degli arditi.

 

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Attività preparatoria prima di un'addestramento. Foto Eichel

 

Che cos’è il coraggio per un incursore?

Il coraggio risiede nell'uomo e si manifesta con la voglia di misurarsi con se stesso per soddisfare la propria indole. Nel coraggio c'è una grande componente di egoismo. Per un incursore rappresenta quello stato d’animo che ti consente di affrontare situazioni estreme, difficili ad altissimo rischio, ma comunque dentro quella soglia limite delle proprie capacità. Di conseguenza il coraggio va a pari passo con l’addestramento. Più sei addestrato, più sei coraggioso. Un incursore è un coraggioso consumato, che continua a percorrere gli incerti sentieri, avendo bene a mente che non lo fa più per se stesso, ma lo fa con l'idea di servire gli altri.

 

Parlaci della tua famiglia, come ha vissuto il tuo essere un Operatore dei GIS?

Sotto questo aspetto, devo dire che sono stato fortunato. Quando mi sono sposato avevo già 9 anni di reparto, i peggiori se consideriamo gli impegni fuori sede. “Peggiori” non per il lavoro, ma semplicemente perché si partiva per un’esigenza e non si sapeva quando si rientrava. Ricordo un impegno in Calabria che doveva durare una settimana e invece durò 44 giorni. Al rientro da quel servizio, dopo pochi giorni, altro impiego in Sardegna, questa volta 22 giorni (erano gli anni dei sequestri) e così portammo avanti questi ritmi per alcuni anni. Per me era quasi un divertimento, ma immagino che per chi avesse già moglie e figli, doveva essere un bel sacrificio. Nostro figlio Luca è arrivato nel 1995, da quell’anno in poi gli impegni fuori sede sono continuati, anche con periodi più lunghi (missioni all’estero), ma in linea di massima venivano programmati. Ho sempre cercato di minimizzare i disagi per le mie assenze, non è mai stato un compito facile, ma devo anche dire che sotto questo aspetto sono stato molto aiutato da mia moglie. 

 

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Gli elicotteri, sono uno dei mezzi di trasporto e infiltrazione (lanci operativi) più utilizzati dal GIS. Foto Eichel

 

 

Conservi qualche particolare ricordo del Reparto e dei tuoi colleghi?

Tutti questi anni trascorsi al Reparto sono stati per me come aver fatto una “missione”. La più bella missione che ho fatto in vita mia e che avrei voluto non finisse mai! Purtroppo tutte le cose prima o poi finiscono, e così questa missione si è chiusa anche per me. I ricordi sono tanti e indelebili. Al reparto ho fatto anche tante esperienze uniche. Ho scoperto doni preziosi come amicizia, sostegno, (oltre alla fatica che si può immaginare), ma soprattutto ho trovato tanti amici affettuosi e sinceri, che mi hanno regalato momenti splendidi e tanta gioia. Oggi purtroppo faccio i conti anche con la tristezza, per quegli amici passati a miglior vita. Romano, Ermanno, Pietro, Enzo, Giuseppe, Paolo, Sandro, Raffaele e Fedele. Un pensiero particolare va proprio a Fedele (scomparso lo scorso febbraio), un uomo semplice ma con altissimi valori morali, umile e sincero è stato per me il mio primo comandante di distaccamento operativo, ma soprattutto un esempio da seguire, un fratello maggiore.

 

A proposito di Operatori che sono sotto altri cieli… Francesco Cossiga ha sempre guardato al GIS con grande affetto, creando anche il nome dell’unità. Rimane l’unico Operatore ad honorem, che ricordo hai di lui oltre all’aneddoto dell’aereo?

Ho un bel ricordo, da Presidente della Repubblica nella Tenuta Presidenziale di Castelporziano abbiamo fatto un’esercitazione appositamente per lui. Per un Reparto così piccolo come il GIS è stato sicuramente un privilegio, ma anche un piacere perché lui seguiva tutta l’esercitazione esternando molto interesse e sorprendentemente ancor di più durante la visita ai materiali speciali, che io presidiavo, dove faceva domande tecniche, specialmente sulle radio. Alla celebrazione del ventennale del GIS non era presente, non conosco il motivo della sua assenza, ma sicuramente non ce l’aveva con noi. Infatti, dopo pochissimo tempo, noi soci fondatori ancora in servizio, siamo stati invitati a casa sua a Roma per brindare insieme e festeggiare così l’anniversario della costituzione del GIS. Un attestato di stima che mi ha fatto veramente piacere.

 

Com’è cambiato il GIS in tanti anni di evoluzione e qual è, secondo te, il profilo dei nuovi Operatori rispetto al vostro inizio?

Ricordo il mio primo Comandante, ripeteva: “per essere un buon operatore servono gambe, braccia e tiro”! I tempi sono molto cambiati. Oggi attraverso la tecnologia e le sue applicazioni si tendono a risolvere problemi che prima erano impensabili. Anche nel campo delle operazioni speciali ci sono stati dei grossi cambiamenti. Il mio cuore è rimasto lì, dove ho passato la vita servendo il mio Paese e hai giovani che mi hanno sostituito nel servizio. Vorrei credere di poter essere di aiuto, ma penso che gli incursori di oggi siano il meglio dei giovani (selezionatissimi) che la società sia in grado di fornire. Detto questo, con enorme affetto, vorrei solo incoraggiarli perché facciano del loro meglio, ma essendo incursori, già lo sanno.

 

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 Il Ministro della Difesa Larussa, consegna l'onoreficenza di "Cavaliere Ordine al Merito della Repubblica Italiana" a  Eichel nel corso dell'evento organizzato in occasione dei 30 anni del GIS (Livorno 2008). Foto Eichel

 

Cosa, secondo te è irrinunciabile per essere un buon Operatore GIS oggi?

La disponibilità a mio avviso è l'attitudine indispensabile che deve avere un incursore, insieme all’umiltà. Questi elementi sono irrinunciabili per essere un buon GIS. L’altro elemento è l'abnegazione al servizio, una parola ormai in disuso, che significa mettere i propri interessi in secondo piano rispetto al servizio.

 

Com’è passare da un’esperienza come il GIS a una vita più tranquilla?

Ho sempre temuto questo momento, ma ero consapevole del fatto che prima o poi lo dovevo affrontare. Mi sono premunito creandomi delle attività alternative, completamente differenti dal lavoro, alle quali mi sono dedicato anima e corpo. La mia vita è cambiata completamente, non posso dire in meglio, perché il mio pensiero è sempre al reparto, ma mi ritengo comunque fortunato di poter vivere secondo le mie preferenze (cosa che forse oggi non tutti possono fare). Quello che sicuramente non è mai cambiato, è tutta la ricchezza di amicizia accumulata, perché le persone care si portano sempre nel cuore, ovunque si vada!

 

  

 

 

[1] l GSG 9 (abbreviazione dal tedesco Grenzschutzgruppe 9) è l'unità di élite anti-terrorismo e operazioni speciali della Repubblica Federale Tedesca (appartenente al Corpo di polizia federale a ordinamento militare delle Guardie di Frontiera – Bundesgrenzschutz), ed è considerata una delle migliori del suo genere al mondo. Molte nazioni hanno organizzato le proprie unità speciali seguendo il modello del GSG 9. Il GIS dei Carabinieri ha contatti con questo reparto paritetico per collaborazioni su vari fronti.  

[2] Il Grupo Especial de Operaciones, noto anche come G.E.O. o GEO, è l’unità d’élite della polizia spagnola.

[3] E’ il gruppo d’intervento speciale della Gendarmeria austriaca (Gendarmerieeinsatzkommando - GEK) nato per fronteggiare la minaccia terroristica.

[4] Il Groupe d'intervention de la Gendarmerie nationale (GIGN) è un'unità speciale della Gendarmeria nazionale francese specializzata nelle operazioni di antiterrorismo e nella liberazione di ostaggi.

[5] Lo Special Air Service (SAS) è il principale corpo speciale dell’esercito britannico.

[6] Spezialeinsatzkommando (SEK): sono le squadre SWAT delle Landespolizei.

 

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