GRACE E LA SOLITUDINE DELLE DONNE. QUANDO LA SOLITUDINE È IN COPPIA


Matrimonio, convivenza, figli, trasferimenti da un posto all’altro per lavoro. La psicoterapeuta spiega cosa accade nella coppia e come ovviare alle criticità, per ritrovarsi più forti di prima.

 

 

 

Di Flavia Donadoni                                                                                                                                      07.06.2014

 

 

Il matrimonio, la convivenza, i figli, una nuova vita da condividere con entusiasmo per andare incontro a nuove sfide, insieme. Un moto leggero ritmato in due, perché amarsi è bello e porta a guardare nella stessa direzione con gioia e spigliatezza, perfino coraggio, nel caso in cui questo profondo desiderio di completarsi come coppia comporti uno spostamento radicale per uno dei due. E poi la vita insieme, fatta di novità, stimoli e grande entusiasmo, i figli, la casa, la condivisione, ma anche nuove fatiche e un equilibrio da ricercare con amore. Succede però che in alcuni casi, la routine, le necessità e le scelte obbligate per il benessere familiare, portino anche a delle criticità di coppia. Per motivi di opportunità indagheremo in particolare soltanto alcuni aspetti di queste dinamiche, cogliendo come suggerimento uno spunto di tipo “cinematografico”. Rappresentativo infatti, è il film “Grace”, 2014, che ben descrive gli stati d’animo della protagonista (lei, bellissima donna di successo, abbandona la vecchia vita per il matrimonio), e della coppia.

 

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La locandina del film "Grace di Monaco" 2014 (Foto web)

 

La società è cambiata, i ritmi, le esigenze familiari, i social network che paradossalmente ammiccano a nuove solitudini, le ambizioni personali, scollate da quelli che erano i suggerimenti della mamma e della nonna, che tendevano a una sottomissione al marito e al passaggio dal padre al compagno con l’arrivo del matrimonio, come se si trattasse di uno scambio di “proprietà”. Oggi i rapporti sono sempre più di tipo “paritario”, dove le carriere si rincorrono e si ha sempre meno tempo anche per ascoltarsi. Una delle maggiori criticità, molto diffuse, è legata al “trasferimento”. Succede spesso di seguire il marito nelle sedi previste dalla sua professionalità, si può trattare di un medico, di un tecnico, di un tipo di lavoro che per essere “conservato” richieda l’ennesimo sacrificio familiare di uno spostamento, o di un militare (spesso soggetti a frequenti movimenti in luoghi che non sono sempre frutto di scelte personali), o semplicemente del desiderio di una nuova vita che porti a raggiungere il proprio convivente o futuro marito là dove egli ha già costruito un margine di stabilità. Così molte donne abbandonano la condizione precedente, talvolta lasciando anche il proprio lavoro, gli affetti, le sicurezze, per avventurarsi, piene di speranze, verso brillanti orizzonti. E poi? Poi la favola continua con buona pace delle suocere e della coppia oppure… inizia a delinearsi una convivenza fatta di distacco, insofferenza e infelicità. In alcuni casi ambientarsi in una nuova città è un processo che prevede dei tempi più o meno lunghi e un’elaborazione psicologica in cui vanno considerati vari fattori. La coppia può risentire della difficoltà di ambientazione e del senso di solitudine vissuto dalle donne.

 

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L' attrice Grace Kelly (Foto web)

 

Il mito della principessa e del castello incantato

1960, Grace, (dal film Grace, 2014), una donna bella, ricca e talentuosa segue l’uomo che ama e va a vivere in un posto meraviglioso. Sembra una favola. Ma Grace non si sente a casa, si sente sola e incompresa, si allontana sempre di più dal suo uomo e sogna di tornare nel suo Paese, alla sua vita precedente. 

1970, 1980… 2000, 2014… la storia continua e si ripete. Ai nostri giorni, Camilla, la formidabile protagonista di “Un fidanzato per mia moglie” (2014), dalla Sardegna si trasferisce a Milano per seguire il suo uomo, e si alza ogni mattina più arrabbiata e scontenta, senza le sue amiche e la vita brillante che conduceva prima. I “non mi piace” nella sua nuova vita diventano sempre di più, e, a parte il compagno sconcertato per la nuova Camilla che si ritrova vicino, sembra non trovare niente di buono per dare il via a una nuova vita. Donne che lasciano la loro città e tutto ciò che hanno costruito per seguire il compagno che vive e lavora altrove e dedicarsi all’attuale famiglia. Lo fanno, il più delle volte, con amore e con quel pizzico d’incoscienza che permette di fare passi che, a pensarci troppo, forse non si farebbero. Accade, a volte, che l’entusiasmo per la nuova vita lasci spesso il posto a un senso di fatica, delusione e solitudine. Il compagno prima, i figli poi, diventano l’unico punto di riferimento che scandiscono le loro giornate. Marito, figli, casa, la vita è sempre più piena, ma non per questo le donne si sentono a casa, al loro posto o gratificate. La relazione di coppia comincia a risentire, ci si allontana, la comunicazione diventa sempre più difficile.

 

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Il paradosso della favola di Biancaneve (Foto web)

 

 

Così racconta la sua storia Loredana*, 27 anni, durante una consulenza psicologica:

Quando sono venuta a vivere in questa città ero contenta”, dice “piena di entusiasmo all’idea di cominciare una nuova vita con mio marito. Lui era qui come militare già da un po’, si è ambientato, ha i suoi amici, il suo sport, i suoi ritmi… per me era tutto nuovo. Io, non avevo mai lasciato la mia città natale, vivevo ancora con i miei e con gli amici di sempre. Ho abbandonato il mio lavoro, ero responsabile di un negozio molto in vista nel contesto sociale. Ho iniziato a cercare nella mia nuova sede, senza trovare nulla, ma poi è arrivato il mio primo figlio, e subito dopo il secondo… La baby sitter mi costerebbe quanto lo stipendio… ho scelto di non lavorare, e poi sono contenta di stare con i bambini, occuparmi della casa. Però non so più cosa mi succede. Sono spesso nervosa, sempre dietro alla casa, ai bambini, mi sembra di non avere più una mia vita. Sono diventata invidiosa di mio marito che esce ogni giorno con un suo ruolo e le sue gratificazioni, lui è “qualcuno”… io… mi sento priva d’identità, resto solo la moglie di… che mi rende orgogliosa, non mi fraintenda dottoressa, ma… prima invece la gente mi riconosceva come Loredana, la consulente del negozio X, mi domandava pareri, consigli. Lui è soddisfatto, lavora, frequenta gli amici. E mi odio per questo. Non mi riconosco più”.

 

Simile è la storia di Annamaria*, 40 anni, anche lei si è trasferita in un’altra città per seguire il marito tecnico per una grande azienda. Di questi tempi era l’unica possibilità per conservare il suo posto di lavoro. “Sono sempre affaticata, e sola. Mio marito torna a casa stanco, si butta sul divano con il suo tablet e non c’è per nessuno. All’inizio mi sentivo in dovere di fare tutto io in casa. Lui lavora, mi dicevo, porta a casa uno stipendio ed è giusto così. Ma quando vedo che si alza da tavola senza neanche togliere il suo piatto sporco mi sento così infelice… mi sono trasferita qua per fare da governante? Lui sembra non accorgersi di nulla. Per lui è tutto normale. Dov’è l’uomo di cui mi sono innamorata? Non riesco più a trovarlo. E’ spesso distante, apatico, si rianima solo quando sta con i suoi amici. Mi dice che mi arrabbio per nulla… la verità è che mi sento arrabbiata, sì, ma soprattutto triste. E sola. E quello che mi rattrista di più è che non trovo la ragazza che ero, non mi riconosco. Quando ero studentessa stavo sempre con le mie amiche, andavamo a ballare, eravamo contente con niente, mi piaceva studiare e coltivare i miei interessi… adesso chi sono?”

 

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 (Foto web) 

 

Francesca*, 34 anni, figlia unica, ha affrontato due trasferimenti. “Il mio compagno è militare. La prima volta l’ho seguito per convivere, nella città in cui lavorava, a cinque ore di treno da casa mia. Eravamo innamorati, io lavoravo a Roma in un grosso studio legale come segretaria, ma ho mollato tutto per lui. Ho provato a cercare altro in quella città, ero piena d’entusiasmo, ma non ho trovato nulla e mi sono sentita frustrata. Mi dedicavo alla casa e a lui che aveva orari impossibili, lo vedevo solo la sera. La casa era piccolissima e inospitale, mi sentivo sola ma m’imbarazzava invitare gente. Però serviva a mettere i soldi da parte per sposarci. Abbiamo iniziato a litigare sempre più spesso, mi sentivo un peso per lui, incompresa e così è aumentata anche la gelosia nei suoi confronti, bello, sempre in forma… mi sentivo grassa e abbruttita nonostante le sue attenzioni. Poi finalmente è arrivato il trasferimento, concomitante con la sua partenza per l’ennesima missione. Abbiamo lasciato casa e sono andata dai miei in attesa di trovare altro quando tornerà. Ma mi sento così stanca, mi manca certo, però mi sento così sollevata, con la voglia di ritrovarmi, perché così non mi piaccio… Io lo amo profondamente, ma rivoglio la mia vecchia vita, quando lavoravo in studio e avevo ritmi frenetici, ma mi sentivo una donna bella e in gamba.

 

Cosa succede e come riprendere il proprio posto nella vita?

Cosa fare? Restare o andare via e tornare alla vita di prima, alle proprie certezze?

Una soluzione valida per tutti naturalmente non c’è, e ogni situazione è una storia a sé, ma un interessante spunto di riflessione arriva dal mito di Persefone. La storia racconta proprio di questo processo di crescita della bambina, che passa attraverso una separazione dolorosa, l’elaborazione del lutto e la scelta consapevole di rinunciare al mondo perfetto del bambino per affrontare il buio, il diverso, e diventare regina di quel nuovo mondo. Persefone viene rapita da Ade (re degli Inferi) ma mangia il chicco di melograno, cresce e diventa la sovrana degli Inferi. Nonostante la disperazione di Demetra che ha perso la sua figlia adorata, la “bambina della mamma” assume un altro ruolo, un altro posto nel mondo. Per crescere deve rinunciare al noto, al conosciuto, alle certezze e attraversare il buio dentro e fuori di sé. Arriva un momento in cui siamo chiamati a scegliere e a decidere se mangiare o no quel chicco di melograno. E’ possibile così decidere di scegliere un nuovo ruolo, andare oltre i primi entusiasmi, attraversare la fatica, la solitudine e trovare il modo di essere nuovamente al centro della propria vita, nonostante non sia la favola che la bambina immaginava.

 

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 Il matrimonio dell'attrice Grace Kelly con il principe Ranieri di Monaco (Foto web)

 

C’è un confine sottile, eppure fondamentale, tra lasciare andare l’illusione e rinunciare ai propri sogni:

L’illusione cui è necessario rinunciare è quella di un mondo perfetto, senza dualità, dove tutto è solo luce, dove le ombre non esistono, e ci si sente  protetti. E’ l’illusione del bambino che vuole cancellare con un colpo di spugna il lato pesante della vita e renderla perfetta. L’illusione che la vita sia un videogioco o una perenne chat e che basti un click per eliminare le finestre indesiderate. L’illusione prima o poi comunque si spegnerà, perché la vita va avanti e crescendo necessariamente cambia la visuale, in qualunque parte del mondo si viva. I sogni, nel senso di desideri, sono invece la parte gioiosa e creativa della vita, che si esprime nel tendere verso qualcosa di bello che le dà un senso. A volte sono le piccole cose, (avere un animale, prendersi cura del proprio orto, essere circondati da persone amorevoli), che possono dare la sensazione di sentirsi realizzati e al proprio posto. Ogni donna sa dentro di sé qual è il suo confine tra illusione e desiderio e finché mantiene intimamente il collegamento con quel filo rosso, ogni crisi ha un significato evolutivo da cui può uscire più forte.

 

La rivalsa del sé sul mondo

Perché sei ancora qua, Grace?” le chiede il marito vedendola lì, nonostante le difficoltà e le tensioni tra loro.

Perché abbiamo dei figli insieme, perché ancora ti amo e perché non permetterò a nessuno di portarmi via la mia famiglia”, perché restare insieme non è solo sempre piacere ed entusiasmo, ma anche “dovere”. Dicevano le nostre nonne. E un po’ avevano ragione. Le crisi vengono e si possono superare. Dopo, in qualunque caso, sia che si resti insieme o che ci si lasci, non saremo più quelle di prima. La “bambina della mamma” è comunque cresciuta, quel mondo ideale in un angolo della nostra mente non c’è più. “Il matrimonio è sacrificio”, dice Grace, come dicevano le nostre nonne. Sacrificio come tutte le scelte. La scelta implica in sé la rinuncia di qualcos’altro. Significa scegliere un ruolo, un posto, una città, piuttosto di un altro, ma ciò non significa che la cosa la si debba guardare attraverso lenti “negative”. La moglie di un militare che si trasferisce ogni tre-quattro anni di città in città sceglie di rappresentare un punto fermo per la sua famiglia mentre tutto il resto si muove, ma se si pensa alle nuove prospettive, anche solo culturali, le idee di crescita non mancano (un corso da frequentare, nuove mete di viaggio, contatti sociali). Difficile conciliare questo ruolo con quello di una donna in carriera che viaggia per lavoro. O con la docente universitaria che prosegue la brillante carriera intrapresa nella facoltà in cui ha studiato da ragazza. Non scegliere significa vivere nell’ambivalenza e nel “non posto”, nel “non ruolo”. La tua non scelta permette alle persone intorno di prendere le decisioni al posto tuo e spostarti e sospingerti di qua e di là.

Guardando attraverso altre lenti, un trasferimento apre tante nuove prospettive, anche solo culturali, e le idee di crescita non mancano (ogni luogo offre possibilità di formazione, posti da visitare, nuove usanze da esplorare). Quando Grace decide, s’impegna nel nuovo ruolo. Entra completamente. E prende in mano la situazione, e integra quella che era, con quella che sta diventando. Impara a stare nel suo nuovo posto. “Perché alla fine quello che ognuno può fare è stare al centro della propria vita, cambiare le piccole cose e amare ciò che si è, ciò che si fa e le persone che si hanno vicino”.

 

Le crisi vanno affrontate e superate, pensavo che fosse questo l’amore” dice Camilla quando il marito tenta di scaricarla ai suoi primi segnali di pesantezza e cambiamento. La parola crisi viene dal greco Krisis e significa appunto scelta. La crescita avviene attraverso le crisi, attraverso le scelte e i turbamenti che le precedono. I momenti più importanti dello sviluppo psicofisico di un bambino sono preceduti da una fase di crisi, la difficile scelta se restare quello che si era o andare avanti. La nostra società non tollera più le crisi. Siamo la generazione del telecomando e pensiamo che basta premere un pulsante per cambiare canale e cambiare quello che non ci piace o eliminare una persona dalla nostra vita come la eliminiamo dai nostri contatti sui social network. In realtà quello che incontriamo fuori rispecchia quello che abbiamo dentro, e solo se affrontiamo il drago dentro di noi riusciamo poi a superarlo, a crescere e a prendere il nostro posto nella nostra vita. La crisi porta alla crescita e la crescita al cambiamento e al raggiungimento di equilibri nuovi, più calzanti ai rinnovati bisogni, aspettative, desideri.

 

 

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(Foto web)

 

Cosa succede nella coppia

La frustrazione, l’essere spaesata e la solitudine vissuti dalla donna possono riversarsi nella coppia. Il compagno può diventare il centro di tutte le aspettative, e la relazione inizia così a sbilanciarsi.

L’uomo e la donna parlano spesso due linguaggi diversi, esprimono i sentimenti in modo diverso e differente è il bisogno di condividere alcuni aspetti dell’intimità.

Il compagno, sobbarcato dalla maggior parte dei bisogni materiali e assorbito dalle incombenze lavorative, perde di vista un contatto profondo con la propria compagna, finendo per non rendersi conto di quello che lei sta vivendo in solitudine.

A me basta averla vicino, sapere che c’è. Lei dice che la do per scontata, ma non è vero, sono felice che ci sia ma non sento il bisogno di esprimerlo in continuazione”.

Pensavo che stare a casa con i bambini fosse anche un suo desiderio. Quando lavorava era spesso stressata per i turni, o per il principale, e credevo che finalmente così sarebbe stata più serena. Invece mi sono sentito dire che non è la mia serva e che non ha un attimo di tregua durante il giorno”, riflette il compagno di Annamaria* durante una consulenza di coppia.

Dottoressa, mi creda, non mi ero accorto di niente… sì, vedevo che a volte era triste e presa dai suoi pensieri, ma mi sembrava normale che le mancasse un po’ la sua famiglia. Pensavo che fosse soprattutto stanca… Io sto facendo tutto per la famiglia, le ore che lavoro in più, i contatti sociali che cerco di mantenere, tutto per permettere qualche agio in più a mia moglie e ai miei figli. Mai avrei pensato che mia moglie potesse sentirsi così..

E adesso… è così distante… sarà ancora possibile riavvicinarci?”. Si chiede il compagno di Loredana*.

 

Cosa può fare bene alla propria compagna

Ascoltarla quando ha bisogno di parlare, spesso una semplice attenzione di questo genere, porta a guardare alle negatività in modo diverso, a tal punto da accorgersi che in fondo non erano così spropositate. Spegnere il televisore, il videogioco e qualunque altra cosa porti via l’attenzione e guardarla negli occhi, come i primi tempi;

Farle sentire che nonostante gli anni trascorsi, resta sempre la compagna che si continua a sceglier e che la sua presenza nella propria vita è fondamentale, aldilà dell’abitazione pulita e di quello che fa di concreto e materiale in casa. La donna è il focolare, il cuore della casa.

 

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Condividere le faccende domestiche può essere un buon modo per migliorare la condizione di coppia (Foto web)

 

Stimolarla e supportarla a trovare degli spazi per sé, un corso, un progetto, un’attività di volontariato che la gratifichi come individuo;

Fare un onesto esame di coscienza e rivedere i propri comportamenti che potrebbero averla messa in difficoltà o farla sentire sola e poco considerata;

Ringraziarla per questo passo così coraggioso e difficile di aver lasciato tutto per seguirlo;

Ricordare che nulla e nessuno sono scontati, e ogni occasione può essere buona per esprimere e dare valore ai propri sentimenti;

Diventare consapevoli che occuparsi economicamente della famiglia, non farle mancare nulla, per quanto importante non è tutto. Il bisogno fondamentale di una donna è sentirsi accolta, riconosciuta e valorizzata dal proprio compagno.

 

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La condivisione passa anche attraverso lo sport (Foto web)

 

Cosa può fare una donna per se stessa 

  • Ai primi sintomi di disagio, quando la tristezza e/o la rabbia diventano uno sfondo costante, cercare delle persone con cui parlare. Potrebbe essere un’amica, una persona che è già passata per queste esperienze, oppure uno specialista, uno psicoterapeuta. In ogni caso, chiudersi in se stesse può essere controproducente e può far apparire la situazione più grave di quello che non sia realmente. Tutto quello che resta chiuso dentro dopo un po’ tende a implodere.
  • Leggere eventuali sintomi come possibile espressione del disagio che si sta vivendo. Depressione, ansia, attacchi di panico, tendenza a mangiare troppo o troppo poco, pensieri ricorrenti, preoccupazioni eccessive per la cura della casa o per il proprio aspetto fisico possono nascondere un disagio più profondo e rappresentare semplicemente un modo per esprimerlo. “Continuavo a ripetermi che non avevo nulla di cui lamentarmi, che c’era chi stava peggio di me e che prima o poi mi sarei sentita meglio. Poi, ai primi attacchi di panico ho capito che dovevo farmi aiutare, che da solo non sarebbe passato. In realtà, adesso, a distanza di un anno, mi rendo conto che la mia vita non mi piaceva per niente e non avevo il coraggio di ammetterlo”.
  • Prendere del tempo per sé. Concedersi dei momenti nell’arco della giornata o della settimana per fare qualcosa di gradevole, che aiuti a scaricare la tensione e a ritrovare il piacere di dedicarsi a se stesse. Potrebbe essere un’attività già conosciuta da prima o qualcosa di nuovo che era nella lista dei desideri. Ma anche semplicemente ogni tanto rallentare il passo, telefonare a un’amica, sedersi sul divano a leggere una rivista;
  • Dopo essere entrate in contatto con il proprio sentire e i propri bisogni, il passo fondamentale è lavorare sulla relazione con il proprio compagno. Ripercorrere come in un film, come si è arrivati a questo punto di allontanamento e quali sono state le reciproche responsabilità. Guardare la propria coppia da un altro punto di vista uscendo dalla posizione rabbiosa e vittimistica rappresenta una grande possibilità di svolta.
  • Imparare a comunicare in modo funzionale con il proprio compagno. Un ottimo spunto può essere apprendere le tecniche di “Comunicazione Non Violenta” (di Marshall B. Rosenberg), un modo di comunicare partendo dai bisogni propri e dell’altro.
  • Ricominciare a dedicare tempo di qualità alla coppia. Tempo senza i figli, coltivare insieme gli interessi di prima, raccontarsi, uscire dalla routine per ricordarsi quanto sia speciale stare insieme.

 

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 (Foto web)

 

* nome di fantasia

 

 

 

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Flavia Donadoni è psicologa e psicoterapeuta, lavora con singoli, coppie e famiglie. Ha una lunga esperienza professionale nel sostegno terapeutico delle donne, per il superamento di fasi del ciclo vitale e disagi relazionali. Nel suo approccio terapeutico ha approfondito l’utilizzo e l’integrazione di varie tecniche, tra cui quelle psicocorporee.  è curatrice di vari progetti dedicati alle donne, e autrice di articoli e approfondimenti su riviste specializzate. Per informazioni: www.flaviadonadoni.it - flavia.donadoni@gmail.com

 

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