LEGISLAZIONE DI GUERRA: CRITERI DI APPLICABILITÀ E ART. 9 C.P.M.G.


Una breve trattazione dello specialista sulla tematica della legislazione di guerra. Parte prima.

 

 

Di Floriana De Donno

Roma, 13 aprile 2015

 

 

Argomenti come la legislazione di guerra, particolarmente ostici, soprattutto per i non “addetti ai lavori”, comportano spesso frequenti aggiornamenti in materia. Con un costante impiego delle nostre Forze Armate fuori-area, nel contesto di alleanze e operazioni, può essere interessante spendere qualche parola di riflessione. Per questo lo specialista legale, Avvocato De Donno, propone un piccolo viaggio all’interno della materia, suddiviso in tre appuntamenti, per mettere in luce alcuni aspetti di crescente attualità.

Com’è noto, l’esistenza di una legislazione è guerra è stata per lungo tempo “abbandonata” all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale. Il solo intervento saliente in materia, veniva operato a mezzo della legge n.589/94, la quale aboliva la pena i morte per i delitti previsti dal C.P.M.G. e, più in generale, dalle leggi militari di guerra. La tematica dell’applicabilità della legge di guerra ritornava prepotente, per motivi cogenti, all’indomani della decisione del Governo Italiano di partecipare all’ operazione “Enduring Freedom”, attraverso l’invio di personale militare, in un teatro operativo non tecnicamente riconducibile né a una zona né a una operazione di guerra. La partecipazione dell’Italia a detta missione aveva, da un lato, reso necessaria e inevitabile l’applicazione della legge di guerra e dall’altro, conseguentemente, tale applicazione aveva manifestato tutta l’inadeguatezza di C.P.M.G., il quale si rifaceva a concetto di “guerra” del tutto difforme rispetto alla sostanzialità degli odierni conflitti armati, con l’aggravante di essere rimasto invariato dal 1941 e di essere stato modellato, processualmente, sul Codice di Procedura Penale del 1930.

Nel 2002 dunque, tale situazione aveva costretto il legislatore a inserire, in fretta e furia, specifiche norme processuali destinate al solo personale partecipante all’operazione militare in parola, operando contestualmente quelle modifiche al C.P.M.G. ritenute assolutamente indispensabili. La problematica che si poneva era quella di intervenire in modo che le modifiche fossero in armonia con il dettato costituzionale italiano, in grado di disciplinare penalmente e militarmente atti e fatti che potessero verificarsi durante le missioni militari all’estero, ulteriormente demarcando e definendo i confini di competenza tra giurisdizione ordinaria giurisdizione militare. L’intervento legislativo massivo in materia di legge di guerra venne operato attraverso il d.l. n.421/2002, conseguente legge di conversione n.6/2002 e a mezzo degli artt. 2 e 3 della L. n.15/2002. Data la vastità degli apporti si tratterà in un successivo articolo quelle che sono state nel dettaglio le modifiche operate per le missioni dei militari all’estero. D’importanza primaria è invece comprendere le modifiche apportate all’art.9 del C.P.M.G. dall’art.2 co. 1 lett. A) L. n.6/2012 , poiché vanno a incidere sui criteri generali di applicabilità dello stesso.

  

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Una delle tante immagini che riguardano l'operazione "Enduring Freedom". Foto web

 

Comunemente si insegna che il presupposto per l’applicabilità del C.P.M.G. debba essere la presenza della c.d. “dichiarazione di guerra”; in realtà ciò non corrisponde esattamente al vero, perché negli attuali conflitti armati non alberga più la “dichiarazione dello stato di guerra” né, com’è possibile intuire, è mai netta la distinzione status di guerra e status di pace, come poteva essere nella formulazione dei codici del 1941: basti pensare alle modalità operative delle “missioni di pace” che, di fatto, impiegano forze “armate”. Detto rilievo non è ozioso laddove si considera che proprio la parola “armate” costituisce una delle principali integrazioni operate con la riforma legislativa del 2002 all’interno del C.P.M.G. Sulla scorta di questo presupposto, dunque, la riformulazione dell’art. 9 C.P.M.G. operata nel 2002 pone, accanto ai criteri generici di applicabilità del Codice di Guerra (dichiarazione dello stato di guerra ex art. 3 C.P.M.G.; commissione del reato in luoghi in stato di guerra o considerati tali ex art. art. 4 C.P.M.G.; l’applicazione comunque a personale militare destinato ad operazioni di guerra ex art. 6 C.P.M.G.) degli ulteriori e nuovi criteri spesso poco noti.

Nel dettaglio l’art. 9 C.P.M.G. al co. 1 prevede che “Sino all’entrata in vigore di una nuova legge organica nella materia penale militare, sono soggetti alla legge penale militare di guerra, ancorché in tempo di pace, i corpi di spedizione all’estero per operazioni militari ‘armate’”. L’articolo, nel medesimo comma, definisce anche il momento in cui subentra l’applicabilità del C.P.M.G. ovverosia dal momento in cui inizia il passaggio dei confini dello Stato, o dell’imbarco di nave e aeromobile, ovvero per gli equipaggi dei predetti mezzi, dal momento in cui gli viene comunicata la destinazione della spedizione, ancorché in tempo di pace e dunque in assenza di una dichiarazione di guerra. Proseguendo nella lettura dell’art.9 C.P.M.G., il co. 2, detta il passo a una innovazione normativa vera e propria in ordine ai criteri di applicabilità, in quanto prevede che, allorquando ci si trovi nei casi contemplati dal comma 1 dell’art.9, la legge penale militare di guerra si applica anche al personale di comando e controllo e di supporto e di supporto del corpo di spedizione, che resta nel territorio nazionale o che si trovi nel territorio di altri Paesi nel momento in cui, a detto personale venga comunicata l’assegnazione a dette funzioni.

 

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I militari italiani sono impiegati su più fronti, anche in aiuto delle popolazioni locali. Foto web

 

Proprio per tal motivo, al fine di specificare la localizzazione del c.d. personale di “comando, controllo, supporto”, è stato riformato l’art.15 del C.P.M.G. che, al comma 2, rivede concetto di “Sato alleato” incasellandolo nella definizione di “Stato associato nelle operazioni belliche o partecipante alla stessa operazione o campagna”. L’art.15, proprio al comma 1, illustra un ulteriore importante criterio di applicabilità del C.P.M.G. poiché stabilisce che lo stesso si applichi ai “reati commessi da militari italiani o da persone estranee alle forze armate dello stato italiano a danno di militari o delle forze armate di uno stato alleato sono considerati come se fossero commessi a danno di militari o delle forze armate dello stato italiano”. Naturalmente l’applicabilità è subordinata a una condizione di reciproca accettazione delle medesime condizioni tra gli Stati cui i soggetti rei appartengono.

Importante nell’ottica di una giusta lettura del C.P.M.G. si pone l’art.103 della Cost. Italiana. Detto articolo, laddove marca forti limiti dell’applicabilità della giurisdizione militare in tempo di pace, di contro stabilisce che “ i Tribunali Militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge”. In buona sostanza l’art.103 della Costituzione, coerentemente con la ratio giuridica che sostà all’attivazione dei criteri di applicabilità del C.P.M.G. che interviene in stato di eccezionalità, prevede che in ragione dello stato di guerra, quando la sicurezza del paese sia interamente affidata al comparto militare, lo stesso deve avere pieni ed assoluti poteri nell’esercizio tempestivo della giurisdizione penale, chiaramente sempre su personale strettamente militare, ovvero personale riconosciuto tale ex lege, restando esclusi dall’alveo di competenza per materia e per persone solo reati comuni commessi da soggetti non appartenenti alle Forze armate o non considerati tali o che non commettano reati militari.

L’unico assoluto limite in ordine al momento iniziale dell’esercizio della giurisdizione militare di guerra, è posto dall’articolo 231 C.P.M.G., il quale prevede il previo intervento della “dichiarazione dello stato di guerra”. Solo l’intervento della dichiarazione fa estendere la giurisdizione di guerra anche ai procedimenti penali pendenti ovvero non ancora iniziati per i reati commessi anteriormente alla dichiarazione stessa. Ciò importa uno spostamento notevole dei criteri che definiscono il subentro, per competenza, del Tribunale Militare: in tempo di guerra non occorre che sussistano congiuntamente i criteri della “status di militare” e del “reato militare” affinché il soggetto sia sottoposto alla legge militare, essendo bastevole la sussistenza di uno solo dei criteri citati. In ordine alla gestione giuridica del personale in missione all’estero ovvero sui soggetti tecnicamente non militari in teatri operativi e sull’applicabilità dell’art. 9 in tal senso, data la vastità, si rinvia ad una successiva trattazione.

 

 

 

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Floriana De Donno è avvocato specializzato in materia penalistica dal 2005. Completa la sua formazione professionale con master, corsi e la specializzazione in diritto militare penale e amministrativo nel 2008. Ad oggi è autrice di articoli tecnici a tema, e si divide tra i due studi (Roma e Lecce) e l'insegnamento. Per informazioni: www.avvflorianadedonno.it - avv.florianadedonno@yahoo.it 

 

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