CENNI DI STORIA PIRATESCA


Dai Bucanieri a Garibaldi, il profilo dei predoni del mare in chiave moderna

 

 

 

Di Leandro Abeille

Roma, 07 aprile 2015

 

 

 

Cenni di storia

Esistono da prima dei Fenici, gli etruschi erano dei pirati temibili, in Sardegna i Nuraghi nascono per la necessità dei locali di difendersi dai predoni del mare. Devono il loro nome ai romani, pare che Giulio Cesare sia stato sequestrato da un gruppo di pirati e l’Invincibile Armada spagnola fu battuta dalle loro navi. Nel 67 a.C. Pompeo fu incaricato dal Senato romano di liberare i mari dai predoni che infestavano il Mediterraneo. In tre mesi di tempo e una flotta di 500 navi il pericolo dei pirati venne quasi azzerato. Nei secoli, con la caduta dell'Impero Romano, i commerci marittimi si diradarono e le acque del Mediterraneo non sembrarono più appetibili, almeno fino al VIII secolo quando, in particolare per opera delle città marinare italiane (Amalfi, Pisa, Genova, Gaeta, Venezia), piccole navi mercantili facevano la spola tra i porti bizantini e quelli delle coste mediterranee meridionali ed occidentali dal Medioriente alla Catalogna, erano traffici marittimi così ricchi che ricomparve l'iniziativa piratesca araba. Nel frattempo, altri pirati si affacciavano al Nord, i vichinghi, per effettuare incursioni in Inghilterra ed Irlanda e fino all’Islanda perlopiù, ma a volte spingendosi fino a Spagna, Francia ed Italia meridionale, grazie ad una perizia marinara difficilmente eguagliabile.

 

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Il capitano Jack Sparrow, interpretato dall'attore americano Johnny Deep, è il protagonista della saga cinematografica "I pirati dei Caraibi". Foto web

 

Durante il periodo delle Crociate, gli Stati che vantavano diritti su alcuni tratti di mare permettevano alle loro navi di assalire e depredare quelle di altri paesi. Era così possibile catturare navi straniere compreso equipaggio e passeggeri anche esigendo riscatti. Spesso le imbarcazioni venivano attrezzate così bene per il combattimento (per difendersi o per depredare) che non esisteva quasi nessuna differenza tra una nave mercantile ed una da guerra. Gli stessi Cavalieri di San Giovanni (che poi diventeranno l'Ordine di Malta) esercitavano questo “diritto” contro i Turchi nelle acque di Rodi. Da questa usanza nacque una diversificazione tra pirata e (quello che diventerà) corsaro, due parole che, in genere, si usano spesso come sinonimi. Il pirata era il ladro, predone di mare, che agiva di propria iniziativa e per proprio vantaggio, aggredendo e predando tutte le navi che incontrava facendo, non di rado, incursioni contro le spiagge meno difese e le piccole città della costa. Plutarco nel 100 dC, li definì quali persone che attaccano e rapinano le navi e a volte i paesi delle coste, senza nessuna autorizzazione. Il corsaro, invece, anche se aggrediva e predava come il pirata, lo faceva con autorizzazione o per incarico, di un governo regolarmente costituito.

 

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I Corsari in una riproduzione artistica. Foto web

 

Corsari e pirati si confondevano nelle lotte fra i Cristiani, rappresentati prevalentemente dagli Spagnoli e dai Cavalieri di San Giovanni, ed i Turchi, rappresentati soprattutto da pirati che spesso non erano di origine turca, ma cristiani rinnegati, navigatori greci, spagnoli o italiani. I più attivi ed organizzati corsari musulmani furono quelli con base ad Algeri, Tunisi e Tripoli. Con i loro vasti entroterra, queste città costituivano degli stati pirata pressoché indipendenti, anche dal lontano strapotere dei sultani di Istanbul, diventando famosi come i “pirati barbareschi”. La pirateria contro i cristiani anche nei periodi di pace era una lucrosa attività, perfettamente legale, incoraggiata dagli stessi sultani ottomani, che diventava particolarmente virulenta quando erano periodi di guerra. I più famosi pirati (o corsari) musulmani furono due fratelli Arug e Khair ad Din, quest'ultimo creò tanti grattacapi anche a Carlo V (nell'ottobre del 1541 la flotta spagnola, capitanata dallo stesso imperatore Carlo V, fu completamente distrutta da Khaye-el-din, il Barbarossa, il quale, divenuto corsaro, copriva il grado di Grande Ammiraglio della flotta turca.) e ad Andrea Doria (che vicino Pianosa distrusse la flotta del corsaro Godoli e nel 1519, catturò il famoso corsaro Gad Alì). Le spedizioni punitive dei paesi europei (e più tardi persino dei neonati Stati Uniti) contro i pirati furono costanti ma l'attività corsara e piratesca delle reggenze maghrebine continuò per alcuni secoli. Le principali attività corsare dei cristiani contro i musulmani furono gestite dai Cavalieri di Malta e da quelli di Santo Stefano, i cui più importanti porti di appoggio erano Malta e Livorno. Ma non mancavano anche i pirati cristiani privati, che, a volte, agivano per conto proprio, nel nome della difesa della “cristianità”. Il tramonto della pirateria barbaresca iniziò solo dopo la sconfitta turca a Lepanto. Nei secoli seguenti, fino a tutto il XIX, l'attività dei pirati nel Mediterraneo andò sempre diminuendo di intensità; con la completa colonizzazione della costa nordafricana, compiuta dalle potenze europee, anche le ultime bande di pirati barbareschi furono definitivamente disperse.

 

 

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Sir Francis Drake, corsaro inglese. Foto web

 

Il vero periodo d'oro fu tra il 1500 ed il 1700, quando le rotte dei pirati incrociavano quelle dei mercantili nel mar Mediterraneo, nei Caraibi e nell’oceano Indiano. Molti di loro come Bartholomew Roberts (il pirata Roberts), Sir Francis Drake (il pirata gentiluomo) o Edward Teach (il pirata Barbanera), erano uomini, ma a volte, si parla anche di donne ed alcune, come Alvida la Vichinga, la cantonese Ching Shih, la bucaniere di Playmouth Mary Read e di Cork, Anne Bonny avevano al loro comando migliaia di uomini. Noi li abbiamo conosciuti grazie ai romanzi d’avventura e all’industria cinematografica. Nella nostra memoria formatasi con le fantasie di bambini o con le immagini dei films, ce li hanno trasmessi come criminali duri o come avventurieri tutto sommato romantici, sognatori, fieri e simpatici a volte belli ed anche ben vestiti. Nella realtà i pirati vivevano vite miserabili, morivano a causa di malattie o di morte violenta, sotto forma di combattimento contro un altro uomo (e di malattie conseguenti) o d’impiccagione. Alcuni erano pirati per scelta, poiché la pirateria rappresentava un ottimo viatico per raggiungere avventurosamente delle ricchezze, altri, ammutinandosi, divenivano pirati perché era l’unico modo di sopravvivere agli stenti che soffrivano gli onesti marinai in mare, tra paghe bassissime e la disciplina ferrea di capitani e ufficiali, nati e cresciuti nella nobiltà. Il pirata non era però un romantico sognatore, ma un vero e proprio delinquente dedito alla rapina, all’omicidio, alla tortura e ad ogni traffico illecito, compreso il contrabbando di schiavi. Le navi mercantili molto spesso portavano armi per difendersi dai loro attacchi, tuttavia erano sempre in gran numero e, dopo aver abbordato il mercantile, sconfiggevano i marinai che tentavano di difendersi in cruenti combattimenti corpo a corpo. Grazie al terrore che suscitavano tramite i simbolismi delle loro bandiere nere piene di teschi ed ossa (la Jolly Roger), i pirati (europei ed americani) invitavano le vittime ad arrendersi senza combattere, usando la bandiera disadorna rossa invece significava che essi non avrebbero avuto pietà di nessuno e che se ingaggiati in battaglia non ci sarebbero stati prigionieri.

 

 

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 Anne Bonney e Mary Read, bucaniere. Foto web

 

 

Definizioni

I pirati cosi come sono percepiti si dividevano in tre diverse categorie di cui due molto diverse:

I pirati propriamente detti – Erano coloro che razziavano sui mari per avere un ritorno economico, considerati la feccia dei mari erano strutturati socialmente in maniera diversa da come il cinema ce li trasmette. I pirati vivevano intensamente ed infatti, avevano ottime possibilità di morire presto. Tuttavia il ricambio non mancava, la maggior parte degli equipaggi dei mercantili attaccati si univa alla ciurma pirata, per vari motivi: avevano salva la vita, si liberavano da una vita di stenti poiché la disciplina delle navi era ferrea ed erano costretti a lavorare fino allo stremo per pochi spiccioli e alla fine si rendevano conto che seppur illegale la vita del pirata era avventurosa, egalitaria e infinitamente più ricca. Quando i pirati depredavano una nave il bottino poteva far diventare l’equipaggio ricchissimo, un pirata guadagnava dalle 100 alle 3000 volte di più di un marinaio mercantile, anche se, queste cifre favolose venivano dilapidate tra prostitute, alcool e gioco d’azzardo (permesso a terra). La vita di bordo non era solo eccitazione, pericolo ed avventura come nel caso degli abbordaggi, tra un saccheggio e l’altro passavano settimane e anche mesi, non che mancasse il lavoro tra rettifiche alle vele, manutenzione della nave, vari compiti di bordo ma era tutta noiosa routine. Le figure più importanti a bordo di una nave pirata erano il Comandante, uomo rispettato che incuteva paura e prendeva le decisioni di comando ed il Medico chirurgo il quale, grazie ai suoi utensili, curava i feriti in battaglia, con la sega ad esempio amputava braccia e gambe, con il rhum e l’acqua di mare disinfettava oltre che anestetizzare anche se, purtroppo, spesso le infezioni provocate dagli interventi chirurgici di questi “camici bianchi” improvvisati portavano alla morte.

Se è vero che molto spesso i pirati, torturavano ed uccidevano senza pietà i prigionieri inutili (quelli la cui vita non valeva nulla) e per attaccare le navi mercantili, usavano dei metodi infami, come ad esempio avvicinare una nave esponendo una bandiera amica, per poi esporre la bandiera pirata all’ultimo momento prima dell’abbordaggio, è anche vero che avevano al loro interno una sorta di democrazia, un codice di comportamento a cui tutti, compreso il comandante, dovevano sottostare. Ogni comandante poteva avere un proprio regolamento modificato in alcuni punti rispetto a quello base.

Le regole che l'equipaggio doveva rispettare erano poche e la violazione dava luogo a punizioni severe:

  • Nessuno deve giocare a carte o a dadi per denaro;
  • Le candele devono essere spente alle otto;
  • Tenere sempre le proprie armi pronte e pulite;
  • Ognuno deve lavare la propria biancheria;
  • Donne e fanciulle non possono salire a bordo;
  • Chi diserta in battaglia viene punito con la morte o con l'abbandono in mare aperto.

Il codice piratesco prevedeva il diritto di voto per ogni pirata imbarcato ed il riconoscimento alla spartizione di bottino e di cibo e bevande alcoliche quotidiane in parti eguali con il doppio per il comandante. Questo veniva eletto da tutta la ciurma riunita (dall'ultimo mozzo al timoniere) per effettuare le scelte relative alla conduzione della nave.

 

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La bandiera nera dei pirati. Foto web

 

I bucanieri – Con questo nome sono indicati dal XVII secolo i pirati che operavano nell’Ovest delle Indie. Inizialmente erano dei cacciatori dell’ isola di Haiti, prendono il loro nome dalla parola francese “boucanier”, che deriva dal braciere tipico su cui cucinavano le loro prede. Divennero pirati per vendetta, dopo che furono perseguitati dagli spagnoli, si unirono a bande di fuorilegge ed iniziarono a depredare le navi ed i possedimenti spagnoli erano cosi efficaci che alcuni vennero anche assoldati per questo compito dagli Inglesi. I buccanieri, i veri pirati dei Caraibi, erano così spietati e le loro torture così famose che i nemici preferivano morire piuttosto che cadere loro prigionieri. Riuniti in gruppi di diverse nazionalità (inglesi, francesi, olandesi) dopo essere stati scacciati dagli spagnoli da San Cristoforo, diedero origine nel XVII secolo alla “Filibusteria”, nella famosa isola di Tortuga. Il nome deriva da “freebooters” (i liberi saccheggiatori inglesi).

I corsari (o privateer) – L'intreccio tra pirati e corsari è nato da due necessità quella che avevano le città di difendersi dagli attacchi dei predoni, così queste iniziarono a proteggere i pirati per servirsene in caso di attacchi di flotte rivali ed avversarie e alla necessità di non permettere traffici anche mercantili ostili in parti di mare strategici.

I Corsari erano autorizzati dai governi, a cui cedevano parte dei bottini, a sequestrare e depredare le navi mercantili nemiche od ostili da una lettera (o patente) di marca (o corsa) e rappresaglia da cui il termine “guerra di corsa”. Con lo stesso nome furono chiamati i privateer americani che affondarono o depredarono più di 1300 navi della marina da guerra e mercantile inglese durante la guerra del 1812. L’autorizzazione dei corsari rendeva un duplice servizio, quello di fiaccare i rifornimenti nemici, permettendo al governo che li autorizzava di risparmiare sulla costruzione di una flotta di marina più consistente. Fu il Re Enrico III D'Inghilterra (1216-1272) ad emettere le prime lettere di marca conosciute. A quel tempo venivano emesse lettere di 2 differenti tipi: quelle emesse in tempo di guerra, che autorizzavano i corsari ad attaccare le navi nemiche, e quelle emesse in tempo di pace in favore dei mercanti che avevano perso le navi od il carico per colpa di pirati e che, di conseguenza, potevano richiedere una lettera di marca speciale (permetteva loro di attaccare navi appartenenti allo Stato d'origine del pirata, per recuperare le perdite).

I corsari quando sequestravano un vascello nemico dovevano sottoporsi ad un procedimento presso l’ammiragliato per assicurarsi che il saccheggio fosse legale. Potevano essere considerati soldati e soggiacevano al diritto bellico marittimo, anche se non di rado, quando catturati dai nemici venivano considerati pirati comuni ed impiccati senza troppi problemi. Per i pirati non c'era pietà, ad esempio Re Enrico III rese famoso un pirata di nome William Maurice, condannandolo per pirateria nel 1241, fu la prima persona ad essere impiccata e squartata a fronte di una condanna ufficiale in Inghilterra per atti di pirateria. I corsari, nei paesi amici, non vennero considerati come dei malfattori ai margini della società; al contrario, si inserirono, in ogni epoca, nelle varie comunità e ne diventarono parte attiva ed integrante. L'emissione di “lettere di corsa” a privati venne vietata dapprima con il trattato di Utrecht (1713) e fu poi definitivamente bandita per i firmatari della Dichiarazione di Parigi del 1856. Gli Stati Uniti non furono tra i firmatari e ancora non sono vincolati da quella dichiarazione, tant'è che, ancora oggi, la Costituzione degli Stati Uniti (Art.1 Sez.8) affida al Congresso il potere di concedere le “lettere di corsa”.

 

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Alcune riproduzioni realizzate a mano della "Sovereign of the sea" presso la fabbrica delle barche sull'isola di Mauritius. Fortemente voluta dal Re d'Inghilterra Carlo I, è stata la formidabile punta di diamante della Reale Marina inglese, all'epoca della maggior fioritura della pirateria moderna. Foto G. Ranaldo 

 

Anche gli italiani hanno una certa tradizione come corsari: i liguri Enrico Pescatore, Conte di Malta ammiraglio di Federico II di Svevia, ed il nizzardo Giuseppe Bavastro, capitano del porto di Algeri al servizio dei Francesi (1830), che costrinse gli Inglesi a più di qualche sconfitta, sono forse i più famosi. Capitan Bavastro divenne subito temuto dopo la battaglia del 1803 davanti a Gibilterra: al comando dell' "Intrépide", uno sciabecco (tre alberi a vela latina spesso usato come nave da carico), armato con 3 cannoni, catturò uno dopo l'altro i brigantini della Royal Navy "Astrea" e "Mary Stevens", che disponevano di una potenza di fuoco complessiva molto superiore. Mori nel 1833 per una caduta da cavallo, dopo migliaia di tonnellate razziate e dopo essere diventato il comandante del porto di Algeri. Giuseppe Garibaldi fu corsaro, per circa due anni, gli venne consegnata la Patente di Corsa dall'autoproclamata Repubblica del Rio Grande do Sul, il 4 maggio 1837, in cui si affermavano i principi giuridici e costituzionali che giustificavano la lotta contro l’Impero Brasiliano e veniva ribadito il diritto del corsaro a compiere atti bellici contro navi da guerra e mercantili del nemico. Il governo della neo-repubblica lo autorizzava, in qualità di primo tenente della lancia “Mazzini” (un ex peschereccio con 14 uomini di equipaggio), “a incrociare liberamente per tutti e qualunque mari e fiumi su cui traffichino navi da guerra e mercantili del governo del Brasile e dei suoi sudditi, potendo catturarle e appropriarsene con la forza delle sue armi”. Garibaldi sfidò un impero con un peschereccio ma i risultati non furono esaltanti: le prime prede furono navi di scarso valore unite a varie incursioni contro i villaggi. La prima “Mazzini” venne affondata in uno scontro a fuoco con le truppe brasiliane ma Garibaldi riuscì ad impadronirsi di un’altra nave, meno malandata e più grande (di ventiquattro tonnellate), che chiamarono ancora “Mazzini”. Questa nave ebbe maggiori fortune, tuttavia, dopo molti episodi sull'acqua, Garibaldi la lascio per prendere parte alle sue prime battaglie terrestri. L’11 aprile 1838 respinse un intero battaglione dell'esercito imperiale brasiliano (battaglia del Galpon de Xarqueada), partecipando un anno dopo alla campagna che portò alla presa di Laguna, capitale della provincia di Santa Caterina.

 

Epilogo

Dopo aver rappresentato un pericolo la pirateria e la guerra di corsa sembrarono sparire nel XIX secolo, per due motivi fondamentali:

  • le nuove tecnologie contribuirono a sconfiggere la pirateria, con l'avvento del vapore le marine d'Inghilterra e degli Stati Uniti costruirono navi che potevano andare ovunque, anche in un giorno senza vento ed i pirati che facevano ancora affidamento sulla vela, erano costantemente sopraffatti dalla velocità e dagli armamenti delle navi militari;
  • le Marine delle grandi potenze marittime non avevano più così bisogno dell'aiuto delle navi da guerra armate dai privati, la dichiarazione di Parigi bandiva le lettere di corsa. L'ultimo sussulto di ispirazione corsara fu quando, nella seconda guerra mondiale, i tedeschi armarono dei mercantili registrandoli come incrociatori ausiliari, tra cui l'Atlantis, il Penguin. Anche gli inglesi risposero, armando come incrociatore ausiliario il Rhone, una nave francese che, come le omologhe tedesche, usava mascherarsi per cambiare il proprio aspetto e sembrare una nave di paese neutrale, in modo da poter attaccare il naviglio mercantile diretto ai porti nemici.

 

 

Leandro Abeille è giornalista e sociologo, OSCE Law Enforcement Instructor. 

 

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